-IL RACCONTO DI OGGI -
Racconto breve di Lorena Marcelli
LA CONFESSIONE - STORIA DI ORDINARIA FOLLIA
Lo sa che uccidere è peccato? Lo sa
che ha commesso peccato? Non è pentita di aver peccato? Domande, domande,
domande. Sono ore che fate le stesse, inutili, domande. Siete monotoni, noiosi.
Vi risponderò, non vi preoccupate.
“Uccidere è peccato? Si, è peccato, almeno due dei Comandamenti lo
dicono. Ama il prossimo tuo come te stesso, dice uno dei due. Il secondo dice : “Non uccidere”. Ah no, adesso non intervenite, non correggetemi. Lo so benissimo
che l’ordine dei Comandamenti non è quello. No, lo sapete. Non sono mai stata
brava in religione. Non studiavo a
catechismo. In realtà non ci andavo nemmeno. Per questo non ho ricevuto i
Sacramenti.
No, ve l’ho detto. L’ho detto e
ripetuto decine di volte, e che diamine! Ma allora siete sordi, o, forse, fate
finta di non capire.
Ma chi me lo assicura che, in realtà,
capite? Allora, lo ripeto per l’ennesima volta. Non me lo ricordo l’ordine, ma
i due Comandamenti sono quelli, senza ombra di dubbio.
Oddio, ricominciamo di nuovo con le
domande inutili. Volete farmi cadere in contraddizione. Ma non ci riuscirete,
no, davvero. Io sono nel giusto, dico sempre la verità. Anche adesso la dirò.
Non ha senso mentire. Sono così contenta di averlo fatto. Oh, sì. Davvero
contenta.
Dunque, di nuovo, di nuovo. Lo
ripeto, ma spero che sia per l’ultima volta. No. Non me li sono ricordati in
quel momento. Non ci ho pensato nemmeno lontanamente. Ma chi se ne fregava dei
Comandamenti in quel momento. Lei era lì e io ero lì. Una delle due era di
troppo. E di certo non ero io.
Quindi ? Osate chiedermi anche
questo? Quindi va da sé che una delle due doveva togliersi di torno. Meglio che
lo abbia fatto lei. Certo, un piccolo aiuto l’ho dato io. Bè! forse qualcosa di
più di un piccolo aiuto. Dovevo farlo, me lo ero ripromesso. Prima o poi lo
farò, mi dicevo. Me lo ripetevo da giorni, da mesi, forse da anni. In realtà ho
resistito davvero tanto tempo.
E poi, se proprio devo dirla tutta,
glielo avevo anche detto che prima o poi lo avrei fatto. Rideva, la scema.
Credeva che scherzassi. Io, la coscienza a posto ce l’ho. Lei no. Non mi ha
creduto. E’ un problema suo, non mio.
Pardon, mi correggo. Era, un suo problema. Se mi avesse creduto e fosse
stata attenta , lo sarebbe ancora .
Ha sbagliato. Che colpa ne ho, io, se
lei ha sbagliato? Gli errori si pagano. Ha pagato. Tutto qui.
Ammazzata? Parola grossa. Non mi
piace questa parola. Però , accidenti, mi confondete. Siete troppi in questa
stanza. Siete in troppi e parlate tutti nello stesso momento. Ma ve l’hanno insegnato che si
parla uno alla volta? Ci siete andati a scuola? La confusione mi dà fastidio,
mi innervosisce e, quando sono nervosa, non riesco più ad essere lucida e
precisa. La precisione è importante. Sempre. Per esempio voi non siete tanto
precisi. Avete detto ammazzata. Parola davvero grossa. In realtà non è nemmeno una parola. Non devo
correggere quello che dite, non sono qui per questo. Ma, proprio per essere
pignoli, si tratta di un verbo, di un tempo
verbale.
Avete studiato i verbi, a scuola?
Ammazzato …participio passato del verbo ammazzare .... are, prima coniugazione, avete presente?
Mi piaceva studiare i verbi, quando
ero piccola. I verbi italiani sono difficilissimi. Tutti li sbagliano, quando
parlano. Anche lei li sbagliava. Non ne indovinava uno. Creava tanta confusione.
Ecco, se avesse studiato meglio i verbi, forse non mi avrebbe dato così tanto
fastidio. Sì. Sto divagando, avete problemi? Se avete fretta posso anche
fare a meno di dirvi il perché. Io lo so perché l’ho fatto; ma voi no. Possiamo
anche restare qua per tutta la notte. Non ho sonno. Non ho mai sonno. Forse non
dormo mai. Non so, non ricordo. Ecco, potrei dirvi non so, non ricordo, mi
avvalgo della facoltà di non rispondere. Ma io voglio parlare, ho bisogno di
parlare. Però non voglio sentire altre persone che parlano. Sì, voglio farlo
solo io. Io posso parlare, gli altri no. Volete sapere perché l’ho fatto?
Tacete e ascoltate.
In realtà non c’è un perché. Mi
andava di farlo e l’ho fatto. Ma non dite che l’ho ammazzata. L’ho annullata.
Ma lo sentite quanto è bello il verbo che ho usato? Annullata, annientata,
tolta di mezzo, nascosta, fatta sparire. Siete
poveri in sinonimi. Riconoscetelo. Non la conoscete la lingua.
L’ho fatto perché mi dava fastidio
con quel suo modo di approcciarsi . Parlava troppo.
Odio la gente che parla troppo. Non
stava mai zitta. Dovevo trovare un modo per farla tacere. L’ho trovato. L’ho annullata. Un bel
colpo in testa e voilà, è stata finalmente zitta. Ah, sì. L’ho fatto. Adesso
che ci penso mi viene davvero da ridere. È stata finalmente zitta. Non sentirò
più quella sua odiosa voce. Squittiva, non parlava. Zitta,zitta, zitta.
Finalmente. Veramente lo sarà per sempre, grazie a Dio.
Oddio, forse Lui non lo dovrei
citare, vero? Non mi sono ricordata i suoi Comandamenti e ho peccato. Secondo voi. Ma non secondo me. Secondo me ho
fatto un piacere all’umanità. E pure a suo marito. Soprattutto a suo marito. Ve
lo immaginate il poveretto, schiacciato dalla sua voce stridula, dai fiumi di parole che era capace
di tirar fuori da quella mitragliatrice ,ovvero, dicasi bocca?
Dio forse non mi ringrazierà, ma suo
marito sì.
O sì, sì che lo farà. Statene certi. Lo
so, ne sono sicura. Lo vedevo, il poveretto, quando erano insieme. Soffriva.
Soffriva come un cane. Però soffriva in silenzio. Non parla mai,lui. Mi piace,
lui. Lei, invece, non mi piaceva.
Lui non me lo dirà mai, poveretto, ma io so che lo avrò liberato da
un incubo.
Quindi non ho peccato. Ho amato il
prossimo mio come me stesso. In questo
caso il mio prossimo l’ho scelto io.
Ho scelto suo marito. Troppi prossimi
rischiavano di fare una folla confusionaria. E io, come sapete, odio la
confusione.
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