lunedì 1 giugno 2015





-IL RACCONTO DI OGGI -


Racconto breve di Lorena Marcelli
LA CONFESSIONE - STORIA DI ORDINARIA FOLLIA

Lo sa che uccidere è peccato? Lo sa che ha commesso peccato? Non è pentita di aver peccato? Domande, domande, domande. Sono ore che fate le stesse, inutili, domande. Siete monotoni, noiosi. Vi risponderò, non vi preoccupate.
“Uccidere è peccato?  Si, è peccato, almeno due dei Comandamenti lo dicono. Ama il prossimo tuo come te stesso, dice uno dei due. Il secondo dice : “Non uccidere”. Ah no, adesso non intervenite, non correggetemi. Lo so benissimo che l’ordine dei Comandamenti non è quello. No, lo sapete. Non sono mai stata brava in religione. Non  studiavo a catechismo. In realtà non ci andavo nemmeno. Per questo non ho ricevuto i Sacramenti.
No, ve l’ho detto. L’ho detto e ripetuto decine di volte, e che diamine! Ma allora siete sordi, o, forse, fate finta di non capire.
Ma chi me lo assicura che, in realtà, capite? Allora, lo ripeto per l’ennesima volta. Non me lo ricordo l’ordine, ma i due Comandamenti sono quelli, senza ombra di dubbio.
Oddio, ricominciamo di nuovo con le domande inutili. Volete farmi cadere in contraddizione. Ma non ci riuscirete, no, davvero. Io sono nel giusto, dico sempre la verità. Anche adesso la dirò. Non ha senso mentire. Sono così contenta di averlo fatto. Oh, sì. Davvero contenta.
Dunque, di nuovo, di nuovo. Lo ripeto, ma spero che sia per l’ultima volta. No. Non me li sono ricordati in quel momento. Non ci ho pensato nemmeno lontanamente. Ma chi se ne fregava dei Comandamenti in quel momento. Lei era lì e io ero lì. Una delle due era di troppo. E di certo non ero io.
Quindi ? Osate chiedermi anche questo? Quindi va da sé che una delle due doveva togliersi di torno. Meglio che lo abbia fatto lei. Certo, un piccolo aiuto l’ho dato io. Bè! forse qualcosa di più di un piccolo aiuto. Dovevo farlo, me lo ero ripromesso. Prima o poi lo farò, mi dicevo. Me lo ripetevo da giorni, da mesi, forse da anni. In realtà ho resistito davvero tanto tempo.
E poi, se proprio devo dirla tutta, glielo avevo anche detto che prima o poi lo avrei fatto. Rideva, la scema. Credeva che scherzassi. Io, la coscienza a posto ce l’ho. Lei no. Non mi ha creduto. E’ un problema suo, non mio.  Pardon, mi correggo. Era, un suo problema. Se mi avesse creduto e fosse stata attenta , lo sarebbe ancora .
Ha sbagliato. Che colpa ne ho, io, se lei ha sbagliato? Gli errori si pagano. Ha pagato. Tutto qui.
Ammazzata? Parola grossa. Non mi piace questa parola. Però , accidenti, mi confondete. Siete troppi in questa stanza. Siete in troppi e parlate tutti nello stesso momento. Ma ve l’hanno insegnato che si parla uno alla volta? Ci siete andati a scuola? La confusione mi dà fastidio, mi innervosisce e, quando sono nervosa, non riesco più ad essere lucida e precisa. La precisione è importante. Sempre. Per esempio voi non siete tanto precisi. Avete detto ammazzata. Parola davvero grossa.  In realtà non è nemmeno una parola. Non devo correggere quello che dite, non sono qui per questo. Ma, proprio per essere pignoli, si tratta di un verbo, di un tempo  verbale.
Avete studiato i verbi, a scuola? Ammazzato …participio passato del verbo ammazzare .... are,  prima coniugazione, avete presente?
Mi piaceva studiare i verbi, quando ero piccola. I verbi italiani sono difficilissimi. Tutti li sbagliano, quando parlano. Anche lei li sbagliava. Non ne indovinava uno. Creava tanta confusione. Ecco, se avesse studiato meglio i verbi, forse non mi avrebbe dato così tanto fastidio. Sì. Sto divagando, avete problemi? Se avete fretta posso anche fare a meno di dirvi il perché. Io lo so perché l’ho fatto; ma voi no. Possiamo anche restare qua per tutta la notte. Non ho sonno. Non ho mai sonno. Forse non dormo mai. Non so, non ricordo. Ecco, potrei dirvi non so, non ricordo, mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Ma io voglio parlare, ho bisogno di parlare. Però non voglio sentire altre persone che parlano. Sì, voglio farlo solo io. Io posso parlare, gli altri no. Volete sapere perché l’ho fatto? Tacete e ascoltate.
In realtà non c’è un perché. Mi andava di farlo e l’ho fatto. Ma non dite che l’ho ammazzata. L’ho annullata. Ma lo sentite quanto è bello il verbo che ho usato? Annullata, annientata, tolta di mezzo, nascosta, fatta sparire. Siete  poveri in sinonimi. Riconoscetelo. Non la conoscete la lingua.
L’ho fatto perché mi dava fastidio con quel suo modo di approcciarsi . Parlava troppo.
Odio la gente che parla troppo. Non stava mai zitta. Dovevo trovare un modo per farla tacere. L’ho trovato. L’ho annullata. Un bel colpo in testa e voilà, è stata finalmente zitta. Ah, sì. L’ho fatto. Adesso che ci penso mi viene davvero da ridere. È stata finalmente zitta. Non sentirò più quella sua odiosa voce. Squittiva, non parlava. Zitta,zitta, zitta. Finalmente. Veramente lo sarà per sempre, grazie a Dio.
Oddio, forse Lui non lo dovrei citare, vero? Non mi sono ricordata i suoi Comandamenti e ho peccato.  Secondo voi. Ma non secondo me. Secondo me ho fatto un piacere all’umanità. E pure a suo marito. Soprattutto a suo marito. Ve lo immaginate il poveretto, schiacciato dalla sua voce  stridula, dai fiumi di parole che era capace di tirar fuori da quella mitragliatrice ,ovvero, dicasi bocca?
Dio forse non mi ringrazierà, ma suo marito sì.
O sì, sì che lo farà. Statene certi. Lo so, ne sono sicura. Lo vedevo, il poveretto, quando erano insieme. Soffriva. Soffriva come un cane. Però soffriva in silenzio. Non parla mai,lui. Mi piace, lui. Lei, invece, non mi piaceva.
Lui non  me lo dirà mai,  poveretto, ma io so che lo avrò liberato da un incubo.
Quindi non ho peccato. Ho amato il prossimo mio come me stesso.  In questo caso il mio prossimo l’ho scelto io.
Ho scelto suo marito. Troppi prossimi rischiavano di fare una folla confusionaria. E io, come sapete, odio la confusione.



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