PARLIAMO DI


Paolo Innocenti

Ci sono giorni nei quali la vita ti regala davvero delle belle sorprese; ci sono giorni in cui inizi a parlare per caso con il tuo edicolante e scopri che, come te, ha una passione: la scrittura. Sei già in ritardo e sai che timbrerai il badge con più di mezz'ora di ritardo, ma la conversazione ti appassiona così tanto che non riesci a dire "devo andare" e resti lì a discutere di storia, di ricerche, di storie e di romanzi.
Ci sono giorni in cui qualcuno ti regala un libro e tu, poi, torni a casa e inizi a leggerlo e...non riesci più a staccarti da quelle pagine. Tutto questo è accaduto proprio a me quando ho conosciuto Paolo Innocenti e ho letto il suo giallo "Le quattro verdi". 

Tre omicidi con all'apparenza un solo denominatore comune: la pistola calibro 22 utilizzata per commetterli. È  il primo caso da affrontare per il capitano Sauro Buongiovanni appena trasferito a comandare la compagnia carabinieri di Siena. Affiancato nell'indagine dall'onnipresente maresciallo Claudia Guazzaloca e con l'improbabile collaborazione di Vittorugò Valegiani, disilluso giornalista del Nuovo Quotidiano Senese, Sauro si ritrova a fare i conti con una serie di delitti all'apparenza inspiegabili, immerso nella semisconosciuta realtà della provincia senese.  

Subito dopo mi è venuta la voglia di conoscerlo meglio e di presentarvelo, perché uno scrittore come Paolo Innocenti deve essere scoperto da tutti coloro che amano i gialli ben scritti e con personaggi finemente caratterizzati. Vediamo cosa ci ha risposto il nostro scrittore.

Ciao Paolo e benvenuto sul giardino dei girasoli. Ti va di raccontarci un po' chi sei?
Sono un 59enne nato a La Spezia, laureato in Scienze economiche e bancarie a Siena, trasferito per lavoro a Roma, dove ho anche conosciuto mia moglie, e infine approdato in Abruzzo. Per dodici anni ho lavorato come informatico per poi cambiare radicalmente settore e diventare proprietario di un'edicola, prima a Giulianova e poi a Roseto degli Abruzzi. Per qualche anno ho vissuto il rapporto con la carta stampata anche dall'altro lato della barricata, collaborando con Il Centro e altre testate locali, prima di rivolgere verso la narrativa la mia passione per lo scrivere.

Quali sono i romanzi che hai pubblicato fino a oggi?
Nel 2015 è uscito con Giulianova Media & Communication il mio primo romanzo, "Le quattro verdi", cui ha fatto seguito l'anno successivo "Il chitarrista", opera  autopubblicata, disponibile sia in formato cartaceo che digitale all'indirizzo web www.ilmiolibro.it. Da poco ho concluso la stesura di un terzo romanzo, "Mare immobile", che mi auguro possa essere disponibile a breve.
Noi del giardino dei girasoli abbiamo letto il tuo giallo poliziesco  "Le quattro verdi". Ci racconti un po' la storia?
Si tratta di una vicenda ambientata fra Siena e la sua provincia, con protagonisti un capitano e una maresciallo dei Carabinieri (arma nella quale ho prestato il servizio di leva) e nella quale svolge un ruolo importante anche un originale e disilluso cronista del quotidiano locale. La trama si dipana attraverso tre omicidi, compiuti tutti con la medesima arma, il cui movente non è poi così evidente come sembra apparire. Il fatto che si tratti di un poliziesco, impone di non svelare altro, tanto meno il significato del titolo. 
Qual è stata la tua formazione e quale l'autore che ha influenzato il tuo modo di scrivere?
Sono cresciuto "con il libro in mano" e non poteva essere altrimenti, vista la passione per la lettura che hanno sempre avuto i miei genitori. Ho iniziato con i classici, per ragazzi e non, e proseguito con i contemporanei o comunque con scrittori più vicini alla nostra epoca, senza particolari  preferenze di genere. Negli ultimi anni ho scoperto, o meglio riscoperto, il giallo, in tutte le sue sfumature dal poliziesco classico al thriller al noir. Direi di aver subito più che l'influenza di un unico scrittore l'influsso di tutti quegli autori capaci di combinare la definizione attenta del personaggio con la descrizione non banale dei luoghi. Penso alla Milano di Scerbanenco o alla Roma di Massimo Lugli, alla Washington di Pelecanos o all'Atene di Markaris, ma anche alla Padova di Massimo Carlotto e soprattutto alle ambientazioni bolognesi ed appenniniche di Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli. Un'influenza di genere, più che di stile. 
Il tuo percorso di scrittura: i pro e i contro delle scelte effettuate fino ad oggi
Ho iniziato con i racconti, tre dei quali premiati in due successive edizioni del concorso "Carabinieri in giallo", tutti di genere poliziesco e tutti ambientati nelle realtà alle quali mi sento più legato: i luoghi in cui sono nato e dove ho vissuto (La Spezia; Portovenere, la Lunigiana), Siena e la sua provincia, le Dolomiti. La medesima impronta è rimasta anche con il passaggio al romanzo e credo che questo rappresenti sia il punto di forza che il limite del mio scrivere: ambienti e situazioni che mi sono familiari ed empatiche, circoscritte però a luoghi di non immediata attrattiva: Milano, Roma ed altre realtà simili avrebbero probabilmente una presa differente, ma non sarebbero nelle mie corde.
Come vedi in mondo dell'editoria in questo momento?
Premesso che esistono ben poche case editrici capaci di garantire una distribuzione ampia e capillare, che consenta dunque di raggiungere un pubblico vasto, riuscire ad attirarne l'attenzione è davvero un'impresa quasi impossibile, e questo al di là dalla realtà nella quale si vive. Il nostro è sempre stato un Paese a basso tasso di lettura, che la crisi non poteva che ridurre ulteriormente. Oggi gli editori difficilmente hanno voglia di investire su autori esordienti: tendono ad andare sul sicuro con gli scrittori affermati o pescando in rete qualche raro prodotto digitale che ha destato interesse. 
Essere scrittore in una piccola città e voler farsi conoscere da un vasto pubblico non è facile e non sempre scontato. Quali consigli potresti dare a chi, come te, scrive o vorrebbe scrivere?
Più che dare un consiglio, posso solo raccontare la mia esperienza: continuare a scrivere finché si ha qualcosa da raccontare, anche solo per il gusto di scoprire che cosa ne viene fuori. E poi insistere con le case editrici: non si sa mai.
Come nascono le idee per i tuoi romanzi?
Non ho un metodo ben definito. Sia "Le quattro verdi" che "Il chitarrista", che ne è il seguito ideale, nascono dal desiderio di raccontare luoghi che mi sono cari, persone che ho  conosciuto, particolari che mi hanno colpito. "Mare immobile" ha uno spunto reale, una vicenda tragica che ho vissuto indirettamente, ma che mi ha comunque lasciato un segno importante. Le trame, poi, si evolvono mano a mano che lo scritto va avanti: rispetto all'idea originaria mi capita quasi sempre di aggiungere delle parti e toglierne altre: c'è sempre molta flessibilità nel mio modo di lavorare. 
I tuoi personaggi sono caratterizzati in un modo che sorprende davvero molto e padroneggi benissimo la tecnica narrativa/descrittiva. Hai mai frequentato scuole di scrittura? 
La descrizione dei personaggi – i sentimenti, le idee, i tic e qualunque altro elemento psicologico e caratteriale utile a definirli – è un aspetto che, da lettore, ho sempre considerato fondamentale in un romanzo. Da autore ho cercato di curare questa prospettiva, anche se in maniera del tutto istintiva ed artigianale: non ho mai seguito corsi o scuole di scrittura creativa, anche se avrei la curiosità di provarli. Senz'altro cerco di migliorare lo stile: lo definirei "in evoluzione" visto che c'è senz'altro una differenza fra la scrittura di "Le quattro verdi" e quella dei romanzi successivi.
Dove scrivi, di solito?
Nel mio immaginario scrivo in uno studio con le pareti foderate di libri che affaccia sulla campagna toscana o  su di un paesaggio dolomitico. Nella realtà all'interno del chiosco di giornali con vista sulla Nazionale Adriatica che gestisco assieme a mia moglie.
In edicola? Con tutto quel viavai di gente io impazzirei. Tu come ci riesci?
A volte me lo chiedo pure io, ma credo che, come per tutto, si tratti in fondo solo di una questione di abitudine. Certo, le interruzioni obbligano a rileggere di continuo ciò che si scrive, e non è detto che sia un male, anche se a volte per completare una frase occorre un tempo interminabile. La cosa peggiore è quando dopo una lunga gestazione si riesce ad  afferrare un pensiero o una frase sfuggenti, arriva un cliente e… niente, tocca ricominciare  da capo
Chi è o dovrebbe essere il tuo lettore ideale?
Forse è più semplice definire quali non sono i miei lettori ideali: chi cerca storie rigidamente studiate a tavolino, elaborate secondo quelli che Pierangelo Bertoli chiamava "i dosaggi esatti degli esperti", oppure chi ama scenari truculenti o linguaggi sopra le righe. La mia speranza è di andare incontro al gusto di chi apprezza la cura e la musicalità dello scritto.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Ho un'idea in testa che ho iniziato a mettere su carta: chiamiamola una trama in embrione. Vedremo se arriverà a prendere forma. È un ritorno al giallo, comunque.
Qual è il sogno che vorresti vedere realizzato?
Mi sono messo davanti alla tastiera di un computer perché avevo delle storie da raccontare e volevo scoprire se riuscire a trasformarle in romanzo era nelle mie capacità, però se affermassi di "scrivere per me" come spesso si sente dire, mentirei. Credo che un esercito di lettori attenti ed entusiasti sia il sogno inconfessato di qualunque autore: personalmente mi accontenterei di allargarne la schiera al di fuori dei confini attuali.

Come saluteresti i lettori del nostro blog?

Con una frase di Daniel Pennac, che trovo un'espressione perfetta, anche se un po' amara, del piacere di leggere, e dunque anche di scrivere: «Un libro ben scelto ti salva da qualsiasi cosa, persino da te stesso». E sempre buona lettura!

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Antonio Masseroni



Sabato mattina avevo appuntamento con Antonio Masseroni, l'autore di Roseto degli Abruzzi che avete conosciuto qualche giorno fa su questo blog. Dovevamo passare insieme dieci  minuti fra una commissione e l'altra ma, invece, i dieci minuti si trasformarono in un'ora e anche più. Fra un caffè, persone che si avvicinavano al tavolo per salutarlo, e amici vari, riuscii a intervistarlo per voi.


Ciao Antonio e benvenuto sul giardino dei girasoli. Ti va di raccontarci un po' chi sei?

Ciao a voi e grazie per questa intervista. Vivo a Roseto degli Abruzzi, una splendida città baciata dal mare, e sono papà di due magnifici bambini. Fin da piccolo ho avuto una grande passione per la musica, interesse che coltivo ancora attivamente. Sono stato sempre un grande divoratore di libri di ogni genere e, da circa tre anni, ho scoperto anche il piacere della scrittura. Per me si è aperto un mondo meraviglioso e inaspettato. Ho attualmente pubblicato due romanzi e il terzo è in uscita ad ottobre.

Qual è stata la tua formazione e quale l'autore che ha influenzato il tuo modo di scrivere?

La mia formazione scolastica è molto lontana dalla scrittura, infatti sono laureato in discipline economiche. Tuttavia la passione per la lettura è riuscita sempre a portarmi in mondi lontani e straordinari, reali o frutto di fantasia. Scoprire di riuscire a creare io stesso quelle storie, quelle avventure immortali, è stata un’esperienza senza precedenti.
Per quanto riguarda le influenze, non ne esistono di particolari, in realtà sono tantissime. Come mi disse una volta un caro amico esperto di scrittura: ognuno di noi, in fondo, scrive ciò che legge. Mi sono perso tante volte tra gli incubi di King, ho viaggiato nello spazio oscuro di Dick e Asimov, nelle grandi avventure di Tolkien, nelle distopie di Ballard e in tantissimi altri luoghi che non finirei più di citare. Credo siano tanti diversi ingredienti che, dosati in quantità ignote e segrete, diano vita allo stile di ogni scrittore.

Il tuo percorso di scrittura: i pro e i contro delle scelte effettuate fino ad oggi

Dal romanzo nel cassetto alla prima pubblicazione, in realtà il passo è stato breve. “La nostalgia dell’acqua” ha visto la luce nel 2014 grazie alla Artemia Edizioni. È stata un’esperienza del tutto nuova e molto emozionante. “Riverberi d’ombra” era pronto neanche un anno dopo; un lavoro per certi versi più maturo e più difficile, visti i temi trattati, una sfida con me stesso che mi ha regalato anche la soddisfazione di essere premiato al premio internazionale Città di Cattolica.
Non parlerei di pro e contro, diciamo che credo che ogni scelta sia stata giusta nel momento in cui si è presentata. In genere cerco di trarre qualche insegnamento e una piccola lezione da ogni momento, anche quelli che sembrano difficili.

Il tuo ultimo romanzo verrà pubblicato con la Infinito Edizioni, una casa editrice Non a Pagamento di Modena. Come ti sei trovato a lavorare con loro?

Lavorare con la Infinito Edizioni si sta dimostrando un’esperienza che mi sta arricchendo molto. Con loro ho avuto fin da subito un’impressione di grande professionalità, oltre a tanta simpatia, che è un valore aggiunto impagabile. Per la mia attività di scrittore si è trattato indubbiamente di un passo molto importante, soprattutto perché “Le lune di Avel”, il mio terzo romanzo in uscita a breve, potrà contare su una distribuzione nazionale e sul supporto di un ottimo team editoriale. Pubblicare con loro è innanzitutto un piacere e trovo che ci sia stata da subito una grande sintonia.

Al tuo romanzo è legato anche un progetto molto particolare, che, però, nulla a che fare con la pubblicazione. Di cosa si tratta?

Si tratta del crowdfunding, ovvero la possibilità di acquistare in prevendita il romanzo, diventando di fatto sostenitori effettivi del progetto. È una forma di marketing digitale che spesso viene erroneamente confusa con altre pratiche di editoria a pagamento. Niente di tutto questo… Il crowdfunding accorcia i tempi e le distanze, estende il mercato a segmenti altrimenti difficilmente raggiungibili. Ho tanti amici lontani che avranno il piacere di leggere il romanzo non appena uscito, ricevendolo direttamente a casa e sentendosi un po’ parte della sua realizzazione.
Sono stato entusiasta di provare questo nuovo e innovativo canale di vendita, dalle grandi potenzialità. “Le lune di Avel” può essere già acquistato in prevendita a questo link: www.becrowdy.com/le-lune-di-avel

Essere scrittore in una piccola città e voler farsi conoscere da un vasto pubblico non è facile e non sempre scontato. Quali consigli potresti dare a chi, come te, scrive o vorrebbe scrivere?

Credo che essere scrittore sia soprattutto un piacere che va coltivato in quanto tale. Essere letti da un numero sempre maggiore di persone regala delle grandissime soddisfazioni, ma questo non deve mai far dimenticare la meraviglia e lo stupore che si provano quando si è chiusi in una stanza, davanti ad una tastiera, e improvvisamente intorno a te si manifesta un mondo che prima non esisteva. La piccola città ha il vantaggio del passaparola, delle amicizie su cui si può contare, soprattutto quando si è poco conosciuti. È come avere una barca a cui aggrapparsi, in un mare immenso. Molte persone mi hanno sostenuto e hanno creduto in me, quando ancora scrivere era nulla più di un sogno. Quello che sto facendo oggi è anche merito del loro supporto.
Il consiglio che mi sento di dare a chi vuole scrivere è: non cercate di essere ciò che non siete, non cercate le parole nel modo di scrivere degli altri. Non si può ingannare a lungo la pagina bianca, alla fine il vero te verrà fuori inevitabilmente, per cui conviene farci i conti da subito e accettare ciò che esce dalle proprie mani. E poi siate umili, perché non si smette davvero mai di imparare, ma rispettate voi stessi: in fondo, sono le vostre emozioni che scrivete sulla carta!

Come nascono le idee per i tuoi romanzi?

Spesso da sogni, oppure da immagini che mi colpiscono. Molte volte si tratta di emozioni che chiedono a gran voce di essere tradotte in storie e parole. Sono tanti pensieri orfani che iniziano letteralmente a ronzarmi in testa, in attesa di crescere e svilupparsi.
Molto spesso mi capita di pensare come prima cosa alla fine di una storia, al suo momento culminante. Da lì in poi, torna lentamente indietro, ricostruendo la storia, prima a grandi linee, poi arricchendosi sempre di più di personaggi, sfumature e dettagli.

Chi è o dovrebbe essere il tuo lettore ideale?

Il mio lettore ideale è chi leggendo si appassiona. Chiunque sia in grado di vivere le storie come se ne fosse il protagonista, di provare paura, commozione, rabbia, di piangere davanti ad una pagina. Provo emozioni molto forti mentre scrivo e la mia più grande gioia è scoprire, tempo dopo, di averle trasmesse al lettore attraverso la magia di una successione di parole.

Sei a favore del self publishing?

Non particolarmente, in quanto ritengo fondamentale il lavoro professionale svolto da una casa editrice, soprattutto in termini di editing. Se però l’alternativa è pagare per una pubblicazione con un editore, allora ritengo più utile impiegare quelle risorse per sfruttare al meglio i canali di self-publishing attualmente disponibili, ce ne sono di ben fatti.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Sicuramente continuare a scrivere! Le idee non mancano, anzi il problema spesso è quello opposto, gli spunti si sovrappongono e scegliere di volta in volta a quale dedicarsi diventa una scelta talvolta difficile. Ad ogni modo, creare nuove storie è sempre un piacere incredibile e penso che, in fondo, questa sia la mia più grande fortuna. Nel frattempo, stiamo facendo grandi passi, con il nuovo editore, con le iniziative che si fanno sempre più grandi e accattivanti. Spero di avere sempre più persone con cui poter condividere le mie avventure, perché sapere di aver regalato emozioni è qualcosa di indescrivibile.

Grazie e ciao a tutti!







Nuove uscite della Casa Editrice Le Mezzelane
Loriana Lucciarini Autrice
Carlo Porrini Editor
Gaia Cicaloni Designer Cover



Domani, 2 agosto 2017, verrà pubblicato in Ebook il nuovo romanzo di  Loriana Lucciarini, autrice di talento e dalla penna "romantica". Un romanzo d'amore, un omaggio all'amore tenace, quello che non molla. Un amore straordinario, magari raro, ma reale, vero. 
Non conosciamo ancora la trama e, se come noi, siete curiosi di scoprirla, vi invitiamo a visitare il sito della Casa Editrice. Le Mezzelane
Non dimenticate che il cartaceo uscirà il 28 agosto.
Stay tuned!



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  Pura follia o geniale intuizione?



Vi ricordate quella vecchia pubblicità degli anni settanta? Sì, proprio quella che diceva: “Io a scatola chiusa compro solo…” e citava una marca famosa del tempo. Bene! Se a scatola chiusa non si comprava nulla o quasi nemmeno in quei giorni, figuratevi ora, vista la concorrenza che c’è sul mercato. In ogni mercato, compreso quello editoriale. Ogni giorno vengono pubblicati centinaia di titoli e, molti di loro, rischiano di finire nel dimenticatoio anche se valgono e che, se avessero un’alta probabilità di essere letti, di sicuro sarebbero apprezzati dai lettori. 
Allora cosa fa un editore intraprendente (o folle)? 
Ne sceglie una quarantina (al momento) e sul suo blog http://edizioniesordientiebook.org/free.ebook li rende disponibili in versione parziale gratuita in due formati: pub e mobi.

Se vi va di curiosare andate a dare uno sguardo e vi accorgerete che avete  un’ampia scelta di generi e autori. I libri sono lì, a portata di click, e ci metterete pochi secondi per scaricarli, se avete i programmi adatti. 
(Se non li avete la EEE vi spiega anche come fare per ottenerli).
Potrete leggerne parecchie pagine e, alla fine, decidere se volete acquistarli per sapere come si conclude la storia letta o se volete abbandonarli e passare a leggere altro.

Quando Piera Rossotti ha annunciato questa nuova avventura ho pensato che fosse un’idea davvero folle, ma anche geniale. Molti dei libri messi a disposizione free fanno venire la voglia di chiedere: “Dopo cosa accade?” 
Far interrompere la lettura sul più bello è un grosso rischio, ma se nella vita non si rischia non si produrrà mai il cambiamento che si vuole.
Fra i quaranta titoli trovate anche il mio romanzo di narrativa “La collina dei girasoli”. Potrete leggerne ben 9 capitoli e, se la domanda che vi porrete alla fine sarà: “E dopo?”, allora vuol dire che l’acquisterete e saprete come va a finire la storia. Intanto io vi lascio la sinossi e le opinioni di coloro che lo hanno letto. Vi potrebbe venire la voglia di dire “Lo compro!”
Buona lettura e buona scelta…io ho già iniziato a leggerne già un paio ( di ogni genere, ovvio!)

Topazio, Perla, Giada e Ambra sono quattro sorelle, figlie di un orafo famoso, ma l’unica cosa che le accomuna davvero è di avere il nome di una pietra preziosa, perché sono molto diverse tra loro, e non si sopportano a vicenda; il padre muore prematuramente in un incidente e la madre, Luisa, una donna immorale e superficiale, è incapace di dare loro l’affetto di cui hanno bisogno. Le due sorelle maggiori diventano delle donne insicure, sentimentalmente fragili e insoddisfatte, mentre Giada e, in particolare, Ambra, più sensibili, conosceranno l’affetto materno della zia Elia, che vive in campagna e che accoglierà soprattutto Ambra ogni estate. In questo contesto sano e affettuoso la ragazza ritrova se stessa, decide cosa voler fare e conoscerà anche l’amore della sua vita. 
Un romanzo delicato e profondo, sulle relazioni famigliari e sui sentimenti, sullo sfondo della campagna abruzzese.

Dicono del romanzo: 
-Leggere il libro della Marcelli è come sfogliare un vecchio album di fotografie. Così l’autrice mostra al lettore le foto della famiglia Diamante, istantanee di ricordi e di segreti. Ma lo fa con lentezza, quella stessa dei girasoli cullati dalla leggera brezza in un giorno d’estate, in ‘uno di quei pomeriggi perfetti per oziare, per rimanere sdraiati al sole, godendosi, in silenzio, la meravigliosa quiete che solo la campagna può dare’.

Il romanzo ha ‘un’anima di famiglia’, che come tale si rivela a tratti dolce a tratti amara. La famiglia è la vera protagonista.



Topazio, Perla, Giada e Ambra sono ‘figlie della terra’ e di una madre il cui compito si esaurì ‘nel metterle al mondo’. Quattro sorelle legate dai sapori antichi di una campagna dove la gente lavora tutto il giorno e ‘non ha tempo da perdere’, e dove ‘onore, dignità, rispetto’ sono valori fondamentali, ma non per tutti allo stesso modo. Quattro donne distanti, che vanno alla scoperta di se stesse e dell’amore portando nel cuore lo stesso silente dolore.



Un romanzo autentico, in cui le frustrazioni covate si intrecciano con i sentimenti privati confusi e indolenti. Un romanzo delicato, che non si arrende all’agonia dei sogni infranti e crede nella forza dell’amore. L’amore vero, quello che ‘non ha bisogno di parole’.



-Sullo sfondo della bellissima terra d'Abruzzo, quattro sorelle dai nomi particolari

Ambra, Giada, Perla e Topazio, figlie di un orafo, crescono mal sopportandosi a vicenda.
La benedizione di avere una zia affettuosa compenserà in parte la completa l'indifferenza di una madre assente
e la prematura morte del padre. Tra tutte Ambra è quella che resterà più legata alla zia Elia.
Ambra incontrerà nel suo percorso un personaggio che ho amato immediatamente, l'intrigante Killian
uno scrittore irlandese, che si rivelerà esser l'amore della sua vita.
Chi legge il libro avrà il piacere di amare non solo l'immagine che l'autrice regala dell'Abruzzo ma anche
la spiegazione dei meccanismi che si innescano nei conflitti familiari.
Un buon libro.

-Sono stato trasportato in un bellissimo vortice di sensazioni profonde. Le complesse relazioni tra i personaggi rendono perfettamente l'idea di quanto oggi negli uomini sia difficile stabilire rapporti equilibrati e scambi costruttivi. Soprattutto all'interno del nucleo primario. Il cuore, questo piccolo ma potente muscolo, è l'unica arma in grado di sconfiggere il nemico peggiore: l'indifferenza. Ringrazio l'autrice per l'opportunità che mi ha donato per rileggere i miei errori e capire che c'è sempre tempo. Consiglio vivamente la lettura

-Ci sono storie molto complicate, che, se vengono raccontate in maniera semplice,così come è stato fatto ne "La collina dei girasoli", diventano magiche. La collina dei girasoli racconta la vita delle quattro sorelle Diamante dall'infanzia alla maturità. Quattro donne nate nella stessa famiglia, ma con caratteri opposti l'una all'altra. Quattro sorelle, una madre assente e una zia dolcissima e attenta, che in paese chiamano"la matta". Sullo sfondo della campagna abruzzese, con uno stile semplice e delicato, l'autrice ci fa entrare in punta di piedi nella vita di Topazio, Perla,Giada e Ambra Diamante, figlie di un famoso orafo, che ha deciso di chiamarle come pietre preziose. La protagonista principale è Ambra, l'ultima delle sorelle e, attraverso la sua storia percorriamo quasi trent'anni di dolori,di passioni, di amori,successi e fallimenti. La collina dei girasoli è anche la grande storia d'amore fra Ambra e Killian, lo scrittore irlandese, e fra Ambra e la casa della sua infanzia, dove ha sempre trovato pace e serenità: la casa fra i girasoli.

-“La collina dei girasoli” edito da EEE di Torino, è il romanzo d’esordio di Lorena Marcelli, autrice di vari romanzi tra cui il bellissimo thriller storico “L’enigma del Battista”.
Un romanzo scorrevole nello stile e interessante nella trama: è la storia di quattro sorella figlie di un orafo, che condividono i nomi di pietre preziose (Topazia, Ambra, Perla e Giada), un’infanzia triste, segnata da una madre ostile e distratta, e nient’altro: quattro donne diversissime e spesso lontane, con un destino altrettanto diverso l’una dall’altra. L’unico elemento di calore familiare è dato dalla zia Elia, che abita in campagna, presso cui le sorelle trascorrono le vacanze estive. Quanto basta perché tra le quattro almeno Ambra, la protagonista, faccia esperienza di un amore protettivo e sano e possa , crescendo, ritrovare se stessa e diventare una donna sicura, equilibrata, tanto da legarsi stabilmente con un uomo, a differenza di quanto succede alle sorelle, che pagano i danni dell’influenza materna con una perenne instabilità e infelicità.
Si tratta insomma di un romanzo imperniato su una storia familiare che attraversa tre generazioni, nel contesto della campagna abruzzese, ben descritta nella sua realtà oggettiva e nella poesia che emana agli occhi della scrittrice, di origine teramana. Questa poesia la Marcelli sa trasmetterla al lettore, descrivendo i luoghi con la stessa plasticità e veridicità di una fotografia o di una ripresa cinematografica: i suoni, le immagini, la luce delle colline, dei fiori , dei frutti e delle spighe.
Allo stesso modo l’Autrice sa descrivere con acutezza i personaggi, nelle loro sfumature di comportamento, nei loro conflitti, nelle loro miserie umane e nel loro riscatto da un passato pesante. Il tutto nel consueto stile elegante, scorrevole, ricco di particolari, che fa di questo libro il primo di una serie di romanzi da leggere, assolutamente!

-Capita spesso, lo so, a molti lettori e qualche volta è capitato anche a me, che, aprendo un libro viene la tentazione di saltare il prologo. Si pensa magari ad una cosa inutile oppure a dei pre-commenti. Bene; se avrete tra le mani questo libro, leggete attentamente il prologo, è bellissimo, ma, soprattutto, vi permetterà di capire di che "calibro" è la scrittrice!! La storia di questa famiglia, di questa sorelle, che sono state gratificate con importanti nomi di pietre preziose ma che, nonostante il loro "valore" intrinseco, vivono la loro vita tra alti e bassi, come succede alla maggior parte di noi, inserite in un meraviglioso contesto naturale magistralmente descritto dall'Autrice, così come fantasticamente sono tratteggiate le sorelle, esteticamente ma soprattutto nell'intimo.Non so, ma io sono convinto che ci sia molto di autobiografico e questo è sicuramente un "plus" per l'autrice, dato che parlare di se stessi in modo così velato non è semplice. Come noterete non ho fatto alcun accenno alla trama vera e propria. Non lo faccio mai e chi legge le mie recensioni lo sa. Io non voglio privare il lettore del piacere di assorbire direttamente il contenuto del libro senza sapere già qualche notiziola. Grazie Lorena, al prossimo.




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Andrea Ansevimi


Oggi vi facciamo conoscere Andrea Ansevini, un giovane scrittore marchigiano pieno di passioni e di interessi diversi.  Con Andrea abbiamo bevuto un "caffè virtuale" e gli abbiamo chiesto di parlare di sé e delle sue attività. Ne è uscita fuori un'intervista davvero molto interessante. 

- Ciao, parlaci di te e  delle tue passioni

Ciao, mi chiamo Andrea Ansevini e sono nato a Offagna, un piccolo paese della provincia di Ancona, nel 1979. Lavoro come operaio da quasi 20 anni e sono sposato da 5 anni con Adele.
Mi piace molto la musica, la poesia, la lettura e la fotografia.
Sono diventato scrittore per hobby grazie alla  passione per la poesia e la lettura;  ai tempi delle scuole superiori già scrivevo qualche poesia che aveva attirato l’attenzione degli insegnanti e degli alunni.
Purtroppo, nel 1998, un nostro compagno di classe venne a mancare e in quella triste occasione mi chiesero di scrivere una poesia per ricordarlo. Da lì in avanti non mi sono più fermato e, a oggi, di poesie ne ho scritte più di 1000.
Grazie alla passione per la musica qualcuna è stata  trasformata in canzone e ho realizzato cd. Ho anche un canale Youtube sul quale carico i video che realizzo con le mie poesie/canzoni. 
Alcuni cd sono stati trasmessi dal mio amico Giancarlo Guardabassi di Radio Aut Marche, ma anche da varie radio regionali e nazionali, alle quali ho rilasciato interviste.
Ho preso parte anche ad alcune trasmissioni tv in cui ho parlato di me e di queste passioni. 
Inoltre ho anche preso parte a vari concorsi letterari riportando ottimi piazzamenti e risultati.
Al momento ho pubblicato un libro di raccolta di poesie e un romanzo. Tra non molto uscirà il secondo, mentre il terzo, che farà parte della trilogia, è quasi ultimato.
Ho partecipato più volte come giurato a concorsi letterari; inoltre sono socio di diversi circoli culturali dove leggo poesie.

Quali sono le tue letture giovanili e quali quelle di questo momento?

Da ragazzo mi piaceva molto leggere le poesie di Leopardi, di Ungaretti, Pascoli, Montale, Neruda.
Mi piacciono molto anche Dan Brown, Hemingway, Kerouac, Stephen King, Kafka e Oscar Wilde.
In questo momento sto leggendo molti autori italiani, fra i quali  “L’amica geniale” di Elena Ferrante, l’ultimo libro di Saviano, e ancora Alessandro Baricco e Margaret Mazzantini.

Cosa non leggeresti mai?

Non leggerei mai come libri a carattere religioso (anche se sono cristiano).

Cosa scrivi e cosa non scriverai mai?

Ancora oggi scrivo poesie, quando sono ispirato. Da un po' di tempo, però, mi sto concentrando su una trilogia. Il mio primo romanzo si intitola “La porta misteriosa” e tra non molto uscirà  “Oltre la porta”.
Non scriverei mai  fumetti, anche se mi piacciono molto. Per il resto mi piace sempre mettermi in gioco e sperimentare di tutto, dato che, come penso, non si finisce mai di imparare,

Cosa c'è nel tuo futuro?

Nel mio futuro c’è il nuovo romanzo “Oltre la porta” e prossimamente uscirà anche la terza e ultima parte. Ho anche altri  racconti e bozze per nuovi romanzi da parte, quindi man mano deciderò cosa pubblicare.
Ho anche nuovi cd con nuove poesie che inciderò da solo o con mia moglie Adele.

Hai ancora un sogno nel cassetto?

Sì ne ho, anzi ne ho tanti perché mentre faccio una cosa ne penso tante altre allo stesso momento, quindi sono pieno di idee e progetti.

Qual è l'errore più frequente che hai commesso, quando hai iniziato a contattare le Case Editrici?

L’errore più frequente che ho commesso è stato quello di voler pubblicare  tutto e subito. Lo so ogni cosa vuole il suo tempo, ma spesso mi faccio trascinare dalla fretta e dall'impulsività.
L’unico contatto che ho avuto con una casa editrice risale al 2010 per il mio primo libro di poesie, poi mi sono auto prodotto  grazie all’aiuto di un mio amico speaker che mi ha saputo indirizzare in tal senso.
Lo scorso Natale la Casa Editrice "Le Mezzelane" ha pubblicato uno dei miei scritti e, per questo, sarò sempre grato alla direttrice, che ho conosciuto durante una serata benefica organizzata in favore dei terremotati. È stato davvero un bel regalo di Natale.


Qual è la qualità che uno scrittore deve assolutamente possedere?

Le qualità sono tre:
1) La fantasia;
2) Il sapersi mettere in gioco di continuo;
3) Essere pronto a tutte le critiche, positive o negative che siano.
Le critiche negative sono necessarie per migliorarsi e capire dove si è sbagliato.

Perché i lettori dovrebbero leggerti?

Dovrebbero leggermi perché penso che il mio romanzo “La porta misteriosa” sia adatto ai lettori di tutte le età, dato che nella vita tutti ci troviamo davanti a una porta dietro la quale ci sono vicende positive o negative. Importante è uscirne a testa alta e, se qualcosa non va, bisogna farsi aiutare di chi ci ispira fiducia.
Vi saluto dicendovi che il mio romanzo è anche un inno alla vita.



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Un articolo sovrappeso
di Manuela Leonessa

Fine Luglio, tempo di mare e di bikini per molte, ma non per tutte. 
Tante si sono ritrovate di fronte allo specchio con il conto alla rovescia ormai esaurito. A Marzo ci eravamo dette: “Ho 4 mesi di tempo, riuscirò ben a perdere due chili al mese, no? Fanno otto chili. Perfetto!”
E invece a fine luglio ci ritroviamo con i chili ancora tutti lì. Come è potuto accadere?
Torniamo indietro nel tempo. Torniamo a Marzo. Se va bene abbiamo esattamente il peso che avevamo a marzo dell’anno prima; se va male anche un paio di chili in più. Ma siamo sicure che stavolta ce la faremo. Non abbiamo nessun elemento che avvalori la nostra tesi, ma non importa: volere è potere e noi, ardentemente, vogliamo.
Così ce lo diciamo e ce lo ripetiamo: “Da adesso sono a dieta.” 
Dieta, una parola bellissima. Cinque lettere che racchiudono il segreto della perfezione, il mistero dell’eterna giovinezza. Perché è ovvio, nel delirio perfezionista evocato dalla nostra aspirazione, il giorno che finalmente saremo magre saremo anche inspiegabilmente belle. E giovani. 
Decidiamo per una dieta drastica. Chi ben comincia è a metà dell’opera. Se si rivelerà troppo dura potremo correggere il tiro cammin facendo. L’importante è che i risultati si vedano in fretta. Questo ci servirà da incoraggiamento. Del resto che ci vuole? Basta non mangiare.
Di tutto quello che può accadere tra un frugale pasto e l’altro non ci preoccupiamo. Attacchi di fame, voglia smodata di cibi proibiti, debolezza e la languida nostalgia per l’atto del masticare, sono tutti aspetti che neanche consideriamo. Di fronte a noi c’è solo il prendisole comprato l’anno scorso, quello che non abbiamo mai avuto il coraggio di mettere, perché ci faceva assomigliare a una mongolfiera. Oggi gli abbiamo tolto l’etichetta perché quest’anno lo indosseremo, è una certezza.
Così pranziamo con uno yogurt magro, camminando a passo leggero per la cucina, come la modella della pubblicità. Visto? E che ci vuole? Ci tastiamo con consapevolezza l’addome. Mica ci aspettavamo che fosse già sparito... ma sparirà.
All’una e mezza ci concediamo anche una pesca. Del resto uno yogurt è davvero troppo poco, mica voglio fare come quelle incompetenti che perdono sette chili in un mese e ne recuperano nove quello successivo! Già che ci sono addento anche una fetta di pane, tanto è integrale.
La giornata si avvia verso la sera. Mi sento già una persona nuova, ma il primo ostacolo si staglia impietoso sul mio cammino: la cena.
Cosa preparo per cena? Pensavo di mangiarmi un’insalatina scondita. Ma cosa darò da mangiare ai miei figli? E a mio marito? Mica si accontenteranno di un po’ di erba nel piatto, e hanno ragione, quella a dieta sono solo io.
Così mi accingo a preparare per loro un vero pasto. Tolgo dal frigo tutto quanto c’è di buono. Che piacere tenere in mano quelle leccornie. Tolgo dal suo involucro il prosciutto aspirandone con autentico amore il profumo. Grattugio il parmigiano contemplando i riccioli di formaggio che si adagiano nel piatto con grazia. Affetto le zucchine, sono perfette nella loro fragranza.  Odo il cric della scorza ad ogni affondo di coltello. Preparo il piatto di zucchine al forno con un entusiasmo fino ad ora sconosciuto, al punto che sbaglio le dosi e devo contenerlo nella teglia più grande,  quella per gli ospiti. Ma sono fiera di me, sono convinta che sarà buonissimo.
A tavola guardo con orgoglio il mio piatto di insalata quasi scondita. Quasi. Un cucchiaino di olio extravergine di oliva è sempre concesso.
Intanto servo porzioni abbondanti di zucchine al forno ai miei cari.
La fame urla nello stomaco. L’aria mi riempie la pancia peggio della ricotta in un cannolo ripieno. Cavolo, produco solo paragoni culinari, il cibo mi riempie la testa. Che diamine, una fettina di zucchine al forno che sarà mai! Decido di essermela guadagnata, così me ne prendo una fetta. Non esageriamo, mezza. 
Il pasto è una festa, un’apoteosi di complimenti meritati, soprattutto perché ho cucinato per tutti tranne che per me.
Finita la cena mio marito si chiude in bagno e i miei figli in camera.
Resto da sola con i piatti da lavare. Le zucchine al forno sono state un trionfo, ma ne resta ancora una fetta enorme nella teglia. A casa mia non si butta via niente, ma le dimensioni di quella fetta non equivalgono a nessun modello standard. Troppo grande per essere considerata una porzione, troppo piccola per due. L’azione anticipa il pensiero e mi ritrovo a divorala a cucchiaiate. È un momento di pura gioia.
Il mio stomaco si sintonizza sul mio entusiasmo e più veloce di un pensiero ultimo, si gonfia. Dolorosamente mi riscuoto.
“Sono una fallita.”
Non mi rendo neanche conto di averlo pensato, ma lo accetto come incontrovertibilmente vero.
Ma ragioniamo. Mi ritengo una fallita e ho solo mangiato una fetta di torta alla zucchina.
Sono davvero una fallita o erano le mie pretese ad essere sovradimensionate?
Un barattolino di yogurt e una insalatina. Siamo realistici, avrebbero dovuto chiudermi in bagno e buttare via la chiave per impedirmi di mangiare quella fetta. Più che fallita direi che ero affamata.
Ma le diete richiedono il prezzo di un po’ di fame; se non sono in grado di resistere non riuscirò mai a dimagrire.
E chi l’ha detto che non riuscirò mai a resistere? Forse si tratta di correggere un po’ il tiro, forse si tratta solo di imparare a conoscere e prevedere meglio le mie reazioni. 
D’accordo, ho mangiato una fetta di torta alla zucchina, e allora? È solo sulla base di questo sgarro che ho deciso di non essere in grado di affrontare una dieta?
Ho altre evidenze che sostengono questa affermazione? No?
Francamente, allora, direi che ho pochi elementi per sostenere la mia teoria.
Ma torniamo alla fetta di zucchina e al fatto di considerarmi una fallita. 
Proviamo a pensare a quale conclusione sarei giunta se, mangiando quella fetta, non fossi stata a dieta. Probabilmente alla conclusione che sono un' ottima cuoca.
Invece no, mi colpevolizzo, innescando tutta una serie di pensieri che avranno il solo risultato di minare la mia determinazione: “È tutto inutile, lasciamo perdere.”
Oppure: “Potrei andare da un dietologo, ma tanto so che mio marito non è d’accordo, è convinto che sarebbero soldi buttati via.” 
Questa convinzione non si sa bene da dove salti fuori, visto che a vostro marito non avete mai chiesto nulla e non avete ancora imparato a leggergli nel pensiero.
Questi, come altri, sono tutti pensieri distorti, privi di alcuna logica, che ci facciamo girare nella testa continuamente. Automaticamente. E che accettiamo sempre, passivamente, per veri.
Proviamo ad ascoltarci ogni qual volta ci investe un’emozione; proviamo a scoprire il pensiero  che l’ha generata. E non venite a dirmi che non c’è stato nessun pensiero: un’emozione scaturisce sempre da un pensiero.

E quando avremo imparato ad ascoltare questi pensieri potremo analizzarli, scoprire quanto sono illogici e se diventeremo veramente brave potremo modificarli. Allora la vita sarà più semplice. E le diete pure.


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(ovvero, della cellulare - addiction)-  Di Manuela Leonessa


Oggi è il compleanno di mia figlia, compie 17 anni, si chiama Iside ed è bellissima.
Mia suocera le ha regalato un cellulare.
Che bello, un cellulare. Proprio un regalo adatto a una diciassettenne, direte voi, peccato che sia il quinto.
Una suocera è pur sempre una suocera, è insito nella natura umana tollerarla a malapena, e mi piacerebbe scagliarmi contro la sua inettitudine pensando che, almeno nella scelta dei regali di compleanno,  sia una perfetta cretina, ma non posso. Perché Iside l’ha tormentata per mesi, convincendola della necessità di un nuovo cellulare.
 Mia suocera ha la passione dei profumi e dei bagnoschiuma d’autore. Avrebbe tanto voluto regalare a sua nipote un profumo con annessa cintura firmata. Una confezione elegante di quelle che lei definisce perfette per una vera signorina. Ma a mia figlia non interessa molto diventare una vera signorina, preferisce avere cinque cellulari, e l’ha spiegato a sua nonna senza troppi giri di parole.
Da piccola, Iside non la nonna, aveva una carrellata di Barbie che non finiva più. Le allineava sul letto ognuna con il proprio nome. Nomi terribili tratti dalle telenovelas. Noi non guardiamo le telenovelas, ma mia suocera sì. Forse è per questo che crede ancora al concetto di vera signorina. Ad ogni modo erano 11 Barbie(sette, ovviamente, gliele aveva regalate lei) ognuna con un nome da spavento e tutte ugualmente indispensabili. Una faceva la maestra, abitava in una casa sull’angolo destro della testata del letto a cui si accedeva scavalcando un recinto fatto con i pennarelli  Jumbo della Carioca, la seconda aveva il negozio di panetteria proprio al centro del letto. La panetteria era  fondamentale, perché le figlie delle Barbie (niente figli maschi naturalmente) dovevano comprarsi la pizza tutte le mattine prima di andare a scuola. Le altre nove avevano ruoli altrettanto importanti ma possiamo evitarceli. Era solo per darvi un’idea.
Non voglio dire che i  telefonini siano come le Barbie, ma per Iside, sono tutti, ugualmente, indispensabili.
Il giorno del suo compleanno, suo padre e io, le abbiamo regalato l’abbonamento al teatro Stabile. Lei lo ha accolto con giubilo eccessivo  prima di metterlo da parte in fretta. A quel punto si è concentrata con felina determinazione sul pacco che per forma e dimensioni doveva contenere il nuovo cellulare.  Lo ha aperto con materna sollecitudine, lo ha preso in mano con affetto antropomorfizzato. Al nostro abbonamento già non pensava più, ma il fatto che si sia dimenticata di ringraziare la suocera ha mitigato un po’ la mia delusione.
Comunque: il primo telefonino lo usa per  le compagne di scuola, il secondo lo utilizza principalmente per giocare e connettersi a Internet. Col  terzo cellulare comunica con gli amici che esulano dalla scuola, il quarto lo usa per lavoro (studia all’alberghiero, ha contatti con diversi ristoranti che la chiamano ad ore soprattutto in occasione di matrimoni e feste). Mancava solo il cellulare per comunicare con noi.
Ci siamo sempre lamentati delle difficoltà che incontriamo per metterci in contatto con nostra figlia, perché pur avendo quattro cellulari in tasca, non ci chiama mai. Iside ha una mentalità da ragioniera, pianifica i costi e le spese necessarie per mantenere attive le quattro linee telefoniche sulla base delle sue disponibilità finanziarie. In questo piano noi non siamo contemplati. Se deve fare tardi, se decide di fermarsi a cena, fuori casa, lo faa e basta. Quando la giusta ansia genitoriale arriva al parossismo chiamiamo noi. Inutile dire delle litigate, le sue motivazioni sono inattaccabili, almeno dal suo punto di vista. Il nostro conta poco.
Così  il quinto telefonino l’ha voluto per  noi, di cosa ci lamentiamo?
Io infatti non mi lamento. Mi preoccupo.
Se bere un bicchiere di vino ogni tanto è salutare, ma scolarsi una bottiglia a pasto è etilismo, se comprare un Gratta e Vinci ogni tanto è una coccola, ma giocare a costo della bancarotta è dipendenza, allora mi chiedo se avere cinque cellulari, quando uno basta e avanza non sia argomento sufficiente da attivare la mia allerta.
Quanto tempo passa mediamente vostro figlio al telefonino?
Non è per ripetermi, ma mia figlia di telefonini adesso ne ha cinque, e dal momento che è cresciuta nutrita dai sani principi dell’ egualitarismo  e dell’imparzialità, dedica ad ognuno di loro lo stesso tempo. Tra telefonate e SMS, se contiamo sia quelli in entrata che quelli in uscita, credo che superi ogni giorno i 300 contatti. Certo con tutta questa attività cellulare il tempo per studiare resta poco. Il rendimento scolastico infatti ne risente soprattutto per quel che riguarda l’italiano. Ma non è solo una questione di applicazione. Da quando, grazie al quinto telefonino, messaggia anche con noi, ho scoperto in mia figlia un insospettabile dono della sintesi. I suoi messaggi sono più o meno di questo tenore.
“nn vgo  cna. Nn aspti”. Se anche nei temi scrive così, capisco perché la professoressa non è contenta.
Noi non riusciamo a capire mai che cosa vuole dirci, ci accontentiamo di constatare che se ci scrive vuol dire che è ancora viva. Una volta, ho provato a ricambiarla con la stessa moneta e le ho scritto: “mnbgchjyt gdfreti  gdlmnnnuita re?”
Lei ha capito tutto e mi ha risposto immediatamente
“Yes.”
Mia  figlia non parla più,  messaggia.  Anche quando non è sola.
L’altro giorno, per caso, l’ho vista al bar con un’amica,  Se ne stavano sedute a un tavolino, una di fronte all’altra. Non si parlavano, non si guardavano. Erano  entrambe chine sul proprio smartphone  ad agitare selvaggiamente le dita. Si parlavano così.
Certo questo tipo di comunicazione ha i suoi vantaggi. Il telefonino media le relazioni con l’altro, evita il contatto diretto, permettendo di  idealizzare l’amico che,  in questo modo, possiamo immaginare sempre sorridente, sempre gentile. L’amico dall’altra parte del filo (ma non c’è più nemmeno il filo) mi dà sempre ragione, difficile trovare un occasione di litigio. Come faccio a litigare con gli SMS? Mi stanco prima.
E poi mi sono accorta che mia figlia non sa stare senza telefonini accesi.  Con la scusa che qualcuno potrebbe cercarla anche di notte non li spegne neanche quando dorme. E’ un’abitudine che ha i suoi vantaggi dal momento che la sveglia con lei non ha mai funzionato.  Al mattino quando non si vuole alzare, le telefono. Non sul quinto cellulare, quello lo tiene spento, ma io conosco i numeri degli altri quattro.
Però non va bene lo stesso. Iside usa i cellulari come fossero degli ansiolitici, non li spegne mai per non restare sola, per non sentirsi isolata. Il cellulare è diventato per lei il simbolo della presenza dell’altro. Solo che lei di telefonini ne ha cinque, così non sapendo bene a quale altro riferirsi ha fatto prima ad affezionarsi ai telefonini. Se li porta dappertutto come dei  feticci. Se i telefonini sono accesi non si sente sola se sono spenti sì. Mi è venuto il dubbio che i telefonini spenti equivalgano per lei a una condizione di non esistenza.
Mia figlia è cambiata, ma non so come. Come faccio a scoprirlo se non mi parla più?
Ma vi ricordate quando esistevano le cabine telefoniche? Il telefono non era un prolungamento della personalità dell’individuo, men che meno un suo sostituto. C’erano lunghi momenti in cui stavamo soli con noi stessi, e ci annoiavamo.
La noia. Quel meraviglioso vuoto che ci costringeva a guardare in noi stessi.
Oggi i giovani non si annoiano più. Parlo dei giovani, ma per noi adulti è lo stesso. Non siamo più capaci di stare soli. Il cellulare è diventato un compagno totalizzante.
E noi siamo  sempre più isolati.



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"Orgoglio e Pregiudizio" od "Orgoglio e Prevenzione"?

Storia di una traduzione "particolare" 

Jane Austen  (16 dicembre 1775 - 18 luglio 1818), una delle autrici inglesi più famose e conosciute al mondo, iniziò la prima stesura di quello che, inizialmente aveva il titolo di Prime impressioni 
che poi sarebbe diventato Orgoglio  e Pregiudizio,nel 1796. Il romanzo fu terminato nell'agosto del 1797, quando la scrittrice aveva solo 21 anni. L'ultima revisione del testo fu pubblicata, in modo anonimo, nel gennaio del 1813 dall'editore Egerton. Nell'ottobre dello stesso anno, visto il successo ottenuto, fu stampata una seconda edizione e  il romanzo diventò uno dei più venduti dell'epoca. In Italia la prima traduzione risale al 1932 e il titolo fu cambiato in "Orgoglio e Prevenzione". La traduzione fu curata da Giulio Caprin, il quale divenne, successivamente, un punto di riferimento per tutti gli altri traduttori del romanzo. All'epoca il termine "prevenzione"  era inteso come "preconcetto" e, considerato che si era in piena epoca fascista, Caprin ritenne opportuno tradurre "Prejudice" con "Prevenzione" e di italianizzare i nomi dei personaggi. Per questo motivo Elizabeth fu tradotto con Bettina, Jane con Giovanna e via dicendo. Verso la fine degli anni '40, il Governo Italiano diede inizio a un programma di diffusione della cultura; programma che comprendeva anche la creazione di Centri di lettura e di informazione sparsi sul territorio. In questi Centri si trovavano diversi grandi romanzi classici, italiani e stranieri, molti dei quali furono stampati dall'Istituto Poligrafico dello Stato in edizioni economiche e a distribuzione gratuita. Jane Austen fece parte del fondo dei Centri proprio con Orgoglio e Prevenzione. Nel 1959 fu stampata una nuova edizione, preceduta da un'introduzione inedita di Giulio Caprin. Negli anni la traduzione di Caprin è stata spesso ritoccata e non è più quella originale del 1932; i nomi sono stati tradotti nella versione originale e il linguaggio è stato "svecchiato". Qualche giorno fa mi è stata regalata un'antica edizione di "Orgoglio e Prevenzione" e, leggendola, ho finalmente assaporato la versione linguistica originale con la quale Jane Austen fu conosciuta in Italia, e della quale avevo spesso sentito parlare. Curiosando in giro ho verificato che si trovano ancora diverse copie del romanzo ristampato nel 1959 e invito tutto coloro che volessero leggerlo, ad acquistarne una copia, soffermandosi attentamente sull'introduzione di Giulio Caprin.
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Il potere terapeutico delle parole 



di Roberta Andres

Raccontare se stessi con la scrittura significa esplorare i punti nevralgici del nostro vissuto. Di scrittura e di potere terapeutico delle parole si  è parlato poco più di un mese fa a Palazzo dei Priori a Fermo al workshop di scrittura e psicologia: “Il potere terapeutico delle parole, autobiografia e cambiamento”, il 4 giugno scorso. L’iniziativa  è stata promossa dall’associazione culturale EWWA (European Writing Women Association) con sede a Roma e che ha un attivo polo nelle Marche, le cui referenti sono Christina B. Assouad ed Eleonora Vagnoni.
L’evento è stato patrocinato dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Fermo e si è svolto in due sessioni, mattina e pomeriggio, con una discreta partecipazione di addetti ai lavori e non solo.
Il workshop si rivolgeva a tutti coloro che vogliono migliorare l’utilizzo della parola scritta intesa come ricerca su di sé, cura e raggiungimento di una più elevata coscienza di se stessi.
La mattina è trascorsa con le tre relazioni di Maria Teresa Marziali, pedagogista e docente presso la Libera Università di Anghiari; di Roberta Andres, docente di scrittura creativa presso la Facoltà di Psicologia Università “G. D’Annunzio” di Chieti e di Mariella Antognozzi, psicologa, psicoterapeuta e ipnoterapeuta.
La relazione della prof.ssa Marziali ha illustrato il genere autobiografico, strumento necessario per guardarsi dall’alto e “vivere artisticamente”; ne ha ripercorso gli antecedenti letterari e le varie tecniche che possono essere utilizzate per scrivere indagando sé stessi. “L’autobiografia – ha concluso - è il lavoro della mente che si serve della memoria per rivolgersi al passato”
La seconda relazione, su “Gli archetipi della coppia”, ha fatto una carrellata partendo dai miti antichi fino ai personaggi della letteratura moderna, individuando in essi i modelli ricorrenti che rappresentano diverse modalità di attaccamento e che portano i partner a relazioni di complicità, passione tenerezza, ma a volte anche a rapporti conflittuali e manipolatori.
L’ultimo intervento in ordine di tempo lo ha svolto la dott.ssa Mariella Antognozzi, che ha spiegato nella teoria la trance ipnotica e auto ipnotica, l’importanza di essa per liberare le energie volte a scrivere di sé, prima di proporre un esercizio pratico di rilassamento, trance e scrittura, previsto per il pomeriggio.
 I lavori sono poi continuati con la parte laboratoriale, con un interessante  momento dedicato alla trance ipnotica nella scrittura, che   permette di ricostruire il tempo e le memorie in un percorso di lettura e rilettura della vita.
Èseguita poi una riflessione sull’esperienza svolta, in cui gli stessi partecipanti hanno messo in luce e hanno discusso di come scrivere sia fondamentale per imparare a conoscere se stessi, per sapersi prendere cura di sé.
Il racconto retrospettivo che un autore fa di sé, rievocando quei fatti che hanno segnato il suo vissuto e hanno portato allo sviluppo della sua personalità, può essere una pratica positiva per chiunque nel dialogo con se stesso anche al di fuori dell’esperienza di scrittura volta alla pubblicazione o alla condivisione con gli altri.




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