giovedì 25 febbraio 2016

RECENSIAMO





Editore: Edizioni Esordienti Ebook

L’autore : Lidia Del Gaudio
Nata a Napoli sotto il segno della bilancia, si laurea in lettere filosofia e lavora per molti anni nell’ambito della selezione e formazione del personale di una grande azienda di servizi, senza mai dimenticare la sua passione per la scrittura e la pittura. Le inclinazioni artistiche sono un dono a cui non si può rinunciare, infatti, quali che siano le ipotesi di vita che ci si trova a percorrere. Ed ecco che nascono poesie e racconti raccolti in varie antologie e, nel 2014, il primo romanzo. Appassionata anche di cinema, dipinge e strimpella pianoforte e chitarra. I suoi scrittori preferiti: Stephen King, Stefano Benni, Carlos Ruiz Zafón.

Pubblicazioni più recenti
-2013 Schegge per un Natale horror Dunwich Edizioni.
-2014 I Colori del male - Romanzo thriller-.Lettere Animate Editore
-2014 La Serra trema Dunwich Edizioni
-2015 Pillole (di follia quotidiana) Racconti –  I Sognatori Editore.


Trama

Giulia e Ted si sono separati bruscamente tre anni prima e le loro vite sono ormai un disastro. Lei è finita nella spirale della depressione, lui condivide sesso e avventure con Walter, amico suo da sempre. Al risveglio in ospedale, dov’è arrivata per una overdose da farmaci, Giulia ripensa al racconto che Capitan Nadìr, padre di Ted, le ha fatto su Sensini, piccolo borgo di mare, incastonato sul promontorio di Punta Capovento. Si tratta di una leggenda che potrebbe aiutarla a ritrovare se stessa e l’amore perduto, come ha aiutato i genitori di Ted quarant’anni prima. La storia scorre tra ricordi forti e indelebili, passioni mai spente e amicizie tradite, fino alla conclusione dai risvolti fantastici in cui il rapporto con la natura diventa metafora di pace interiore e di immortalità, velato omaggio all’Orizzonte perduto di Hilton.  
INCIPIT
Il buio le oscura i pensieri. Ha sognato di essere alla deriva dentro un temporale, poi la barca s'è rovesciata e lei è caduta in acqua, sempre più giù, la sensazione di soffocare. Prende le compresse dal comodino, ne ingoia due senz’acqua. Rivolge lo sguardo al telefono grigio, nascosto dietro il lume acceso. Prova ad alzare la cornetta, ma ci ripensa, barcolla fino al bagno, beve un sorso d’acqua dal palmo della mano e solleva la testa per osservarsi allo specchio. Quel che vede non le piace: ha l’aspetto bianco e lucido d'una maschera di cera, spenta, inespressiva, contornata da nulla, perché neanche i capelli ci sono più, ridotti a piccole ciocche inconsistenti, irregolari. Un riflesso viola dilaga intorno agli occhi come una folle spruzzata d'ombretto e lo stesso effetto scuro compare tra l'incavatura delle guance. Si sottrae in fretta, non vuole credere d’essere proprio lei. Pensa che sia colpa di quella stupida lampadina. O di quelle ancor più stupide pillole che l'allontanano sempre più dalla realtà. Torna a rannicchiarsi sul letto in cerca di una dolcezza senza sogni, nella quale può sentire la voce di Nadir. Avverte quasi il dondolio ipnotico della barca mentre lui racconta, il riverbero del sole, la profondità del mare, la leggenda dell’acqua, Punta Capovento, il suo segreto. Quel ricordo le è tornato in mente appena si è svegliata in ospedale e non se ne è più andato. È quello che le ha dato la forza di arrivare fin lì. Si rimette in piedi smaniosa: dalla finestra, una strada larga e silenziosa, deserta a quell'ora di notte. L'aria è umida e fredda e il fiato si condensa contro il vetro. Anche se l'alba pare ancora lontana, l’orologio dice che non dovrà aspettare molto. Comincia a prepararsi, non possiede che un paio di jeans e la maglia che indossa, i farmaci. I soldi di Ferrari li ha spesi tutti, pur di liberarsene ha comprato degli occhiali da sole cerchiati di tartaruga: dietro i vetri scuri sente di poter nascondere lo sguardo disperato che lo specchio del bagno le ha rimandato poco prima. Mette da parte anche le ricette che lui le ha fatto. È stato bravo, dopo tutto, ha capito come prenderla, come farla parlare. Ma lei voleva proprio che qualcuno l’ascoltasse, e, durante i colloqui in ospedale, è riuscita a raccontare anche della morte di Maria Pia, di quella mattinata calda e luminosa e di come le fosse sembrata fuori luogo, stonata. Tra la gente che affollava l'ingresso dell'Accademia, tra allievi e musicisti, aveva intravisto Ornella e molti dei vecchi colleghi, ma s’era nascosta per non incontrarli. Non era neppure riuscita a piangere, ma solo a ingozzarsi di schifezze per poi finire al pronto soccorso. Poi l’hanno dimessa, Ferrari l'ha rincorsa per strada, guidandola fino alla sua auto parcheggiata poco distante e lei, incapace di dare un significato a quanto stesse facendo, l'ha seguito. Non si è rifiutata, non ha nemmeno tentato, pensando che quella fosse una soluzione scontata. Non ha prestato attenzione alle strade che percorrevano, né avrebbe saputo dire come si chiamava l'albergo dovesi sono fermati. Lui l'ha preceduta per le scale e le ha aperto la porta. Ricorda di aver appoggiato la borsa su una struttura di ferro con le strisce di pelle chiara e non ha avuto più nulla da fare. “Allora, che ne pensi? Puoi anche restarci un paio di giorni, se ti va”, ha detto lui, passandole una sigaretta accesa. Non le è mai piaciuto il tabacco e si è sempre rifiutata di fumare per disciplina, come voleva la sua maestra di danza. Però in quel caso ha accettato la sigaretta e ne ha aspirato una boccata. Il fumo le ha invaso bocca e gola, mozzandole il respiro. “È un po' forte”, l’ha subito restituita, il sorriso incerto. Lui è sembrato divertito, l’intensità dello sguardo l'ha imbarazzata, ha cercato di sfuggirvi deviando l’attenzione sulle pareti tappezzate di carta a fiori azzurri e un piccolo armadio bianco. Sul tavolino una guida di Roma. L'ha presa in mano illudendosi che dopo tanto tempo potesse anche comportarsi da turista.Ferrari intanto ha spalancato il piccolo frigobar e, piegato sulle ginocchia, ha chiesto cosa volesse bere. Immediata la sensazione di non poter mandare giù niente, quel blocco impediva ogni accesso, nemmeno la pietà sarebbe passata. Poi, si è ricordata d'essere fatta di carne e ossa, con una bocca, un gusto, il deglutire. “Non lo so, vedi tu, una cosa qualunque”. Ha preso il bicchiere di plastica trasparente con sincera indifferenza; ne ha bevuto un sorso e si è chiesta se stare lì ad aspettare che uno sconosciuto le mettesse le mani addosso potesse essere considerata una cosa naturale. Lui era simpatico, il fisico ben piantato, gli occhiali tondi da intellettuale. Non le ha dato noia che s'avvicinasse dondolando la testa: “Insomma, non posso credere che tu non abbia nessuno che si prenda cura di te o che ti stia aspettando.” E quando è stato a un solo passo, le ha sfiorato la gola con le dita: “Sei molto bella, lo sai?” Un abbraccio ingenuo, dolce, dita tiepide le hanno sbottonato la maglia, si sono intrufolate per accarezzarle il seno. Il calore di quelle mani sulla pelle gelata l’ha rinfrancata. Poi, le cose si sono complicate, lui ha cercato di spogliarla e lei ha cercato di sottrarsi.“Sta’ tranquilla”, il tono dell’uomo è diventato avido di desiderio, le mani hanno frugato nelle tasche dei pantaloni. “Ecco, vedi? Non c'è paura.” E le ha mostrato la bustina col preservativo. “Basta fare le cose per bene.” 


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Quella che andiamo a recensire è una storia che, a prima vista sembra un racconto  d’ amore e che, pagina dopo pagina assume le sfumature di un  avvincente thriller, che ti inchioda nella lettura e che, alla fine, ti sorprende e  ti lascia stordito.  La scrittura di Lidia De Gaudio è accattivante e coinvolgente e la tecnica usata dall’autrice  rivela una capacità non comune di raccontare una vicenda complessa  da diversi punti di vista, in modo che il lettore possa vivere la stessa insieme ai protagonisti principali, cambiando anche, di volta in volta, opinione in merito a quanto appena letto.

Tutti i personaggi ruotano intorno alla figura di Giulia, ragazza bellissima e fragile, ma talmente forte e carismatica da riuscire a tenere intrappolati a sé tutti gli altri, che appaiono contemporaneamente  vittime e carnefici, come lo è lei stessa. Giulia c’è ma è sfuggente, ed è l’unica protagonista che non racconta la sua storia in prima persona. Ted e Walter lo fanno, ci fanno entrare nella loro vita e nei loro sentimenti e cercano di farci capire, attraverso le loro parole, cosa li ha indotti a comportarsi in un determinato modo. Giulia non lo fa. Si lascia raccontare in terza persona. Si nega anche al lettore e  non lascia trasparire nulla di sé, se non  quello che le interessa farci conoscere pagina dopo pagina, fino  a quando i pezzi non si ricomporranno a Punta Capovento, luogo magico e pieno di segreti, antichi e recenti.

Mi piacciono i romanzi “insoliti”, che non svelano troppo e che costringono il lettore a proseguire la lettura pagina dopo pagina, con la voglia di scoprire cosa accadrà alla fine. Il Segreto di Punta Capovento è uguale a Giulia: forte e violento, ma nel contempo leggero e delicato , come tutte le storie raccontate “bene” sanno essere.
Consigliatissimo.






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