martedì 1 luglio 2025

Un fine settimana nel Medioevo. Bevagna, giugno 2025. Di Lorena Marcelli

Il Mercato delle Gaite di Bevagna (Memorie di un fine settimana fuori dal tempo) 

A Bevagna il tempo non scorre, gira. Ogni anno, a giugno, il borgo si lascia alle spalle il presente e riapre una porta su un passato che lì non ha mai smesso di respirare. Ci ho passato l’ultima settimana, e ancora adesso, se chiudo gli occhi, sento l’odore della cera e del ferro, dei panni bagnati di mosto, del pane caldo sotto le travi scure. È stato come entrare in un’altra vita. Il Mercato delle Gaite non è una rievocazione messa in scena per i turisti. È qualcosa di più profondo, radicato, vero.

Le quattro gaite — San Giovanni, San
Giorgio, Santa Maria e San Pietro — si sfidano con orgoglio per dimostrare chi riesce meglio a riportare in vita il Medioevo, quello quotidiano, fatto di gesti lenti, strumenti semplici, mestieri che odorano di mani sporche e silenzio. Appena arrivata ho sentito l’aria diversa. Più densa, quasi più lenta. I vicoli acciottolati sembravano parlarti, i portoni socchiusi lasciavano intravedere botteghe in cui il tempo aveva davvero fatto marcia indietro. Il pergamenaio grattava le pelli con ossa di cavallo, il ceraiolo colava a mano la cera d’api dentro stampi di legno, il tessitore batteva il telaio con un ritmo che pareva un respiro. Nessuna recita: solo persone che si sono messe al servizio di un ricordo collettivo. 
Ogni Gaita ha la sua anima. Nella piazza i banchi del mercato erano sistemati con una cura che commuove: legno grezzo, stoffe naturali, niente plastica, nessuna concessione moderna. Le donne pesavano le spezie su bilance antiche, parlavano piano, vestite di lino spesso, e ti guardavano come se fossi davvero un forestiero appena arrivato da Spoleto con qualche moneta nella borsa.
 In una taverna semi-interrata,nella Gaita di Santa Maria, ho pranzato su una lunga panca di legno, al lume di candele profumate di miele. Il pane era scuro, il capretto tenero, le erbe amarognole e intense. Ho bevuto da una brocca d’argilla, parlato con chi sedeva accanto, senza sapere nemmeno il nome.
Nessuno tirava fuori il cellulare. C’erano solo il calore delle pareti, le voci basse, il rumore delle stoviglie. E il tempo, che sembrava essersi fermato con noi. La sera era la parte che amavo di più. Quando il sole calava dietro le mura, Bevagna diventava un sogno a occhi aperti. Le ombre scendevano piano sui muri, la gente camminava senza fretta, con i costumi impolverati e gli occhi stanchi. Nessuno parlava. Era come se tutto il paese trattenesse il fiato. C’è qualcosa di profondamente umano nel Mercato delle Gaite. Non è solo una festa: è una specie di patto. Un gesto d’amore verso le proprie radici. È la gente di Bevagna che ogni anno decide di rimettere le mani nel passato, di ricucirlo con cura, filo dopo filo. 
E chi arriva da fuori lo vive insieme a loro.

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