lunedì 23 giugno 2025

I silenzi dell’Abbé Tomàs di Nicola Ruffo - Recensione a cura di Lorena Marcelli

 I silenzi dell'Abbé Tomàs 



  • Autore: Nicola Ruffo

  • Editore: CTL (Livorno), pubblicato il 30 agosto 2024 Pagine: 204

  • Prezzo indicativo: circa 13–14 €

    Trama

    Il romanzo si svolge nell’isolato Eremo delle Sorgive, dove convergono due anime: un uomo dichiaratamente ateo, alla ricerca di senso, e l’Abbé Tomàs, un frate silenzioso che ha abbracciato la contemplazione in solitudine.
    A spezzare il silenzio, arriveranno l’amore travagliato di una giovane, Anna, e la presenza di una bimba autistica, elementi che intrecciano dimensione spirituale, emotiva e umana .

“C’è un silenzio che non è vuoto, ma pieno. Pieno di senso, di assenza, di domande. È quel silenzio che si fa carne nelle pagine del romanzo di Nicola Ruffo.”

In un tempo in cui la parola è inflazionata e il rumore assedia ogni angolo dell'esistenza, I silenzi dell’Abbé Tomàs si impone come un gesto controcorrente. Con uno stile sobrio e meditativo, Nicola Ruffo costruisce una narrazione dove il silenzio non è solo un tema, ma la vera architettura della storia.

Il romanzo è ambientato in un luogo che sembra sospeso fuori dal tempo: l’Eremo delle Sorgive, spazio rarefatto, al confine tra il mondo e la rinuncia. È lì che il protagonista, un uomo dichiaratamente ateo, si ritira — non per fede, ma per bisogno. Lo accoglie l’Abbé Tomàs, un frate che ha scelto di non parlare. Ma il silenzio dell’Abbé non è un rifiuto, bensì un ascolto attivo, una forma di presenza più intensa di qualsiasi parola.

Struttura e linguaggio: la narrazione come meditazione

La struttura del romanzo è essenziale, quasi spoglia. Capitoli brevi, dialoghi ridotti all’osso, narrazione lineare. Ma è proprio in questa nudità che si gioca la forza del testo. Ruffo scrive con la pazienza di chi sa aspettare la parola giusta, evitando enfasi e sentimentalismi. Lo stile è asciutto, lirico nella sua sobrietà, e richiama la prosa mistica più che la narrativa contemporanea.

Le descrizioni dell’eremo, della natura circostante, della quotidianità silenziosa dei due uomini, agiscono per sottrazione: il lettore è invitato a colmare i vuoti con la propria interiorità. In questo senso, I silenzi dell’Abbé Tomàs non è un romanzo da leggere passivamente: è un’esperienza da attraversare, lentamente, con rispetto.

Il dialogo tra fede e dubbio

Il vero cuore del romanzo non è il contrasto tra credente e ateo, ma la loro reciproca ricerca. L’Abbé Tomàs non predica. Non tenta di convertire. Il suo silenzio diventa specchio: riflette i turbamenti dell’altro, ma anche i propri. Perché, nel corso del racconto, anche l’Abbé si rivela uomo, con un passato fatto di ferite, di rinunce, forse di colpa.

La fede, nel romanzo, non è mai dogma. È piuttosto una forma di vulnerabilità radicale, una nudità dell’anima. Il dubbio, allora, non è nemico della fede, ma suo compagno inevitabile. Ruffo lo sa, e costruisce tra i due personaggi un equilibrio narrativo delicatissimo, che tocca il lettore senza mai forzarlo.

Anna e la bambina: la tenerezza come interruzione

A turbare l’equilibrio silenzioso dell’eremo arrivano due presenze femminili: una giovane donna, Anna, e una bambina autistica. La loro comparsa introduce nella storia una seconda linea narrativa: quella dell’amore ferito, della tenerezza interrotta, del linguaggio che non passa dalla parola ma dagli sguardi, dai gesti minimi.

La bambina, in particolare, è uno dei personaggi più intensi del romanzo. La sua diversità non è narrata con pietismo, ma con rispetto profondo. La sua incapacità di comunicare nel modo convenzionale diventa eco del silenzio dell’Abbé — una comunicazione altra, fragile, misteriosa, ma potentemente viva.

Un romanzo che interpella

I silenzi dell’Abbé Tomàs non è un libro che si consuma in fretta. Non intrattiene, ma interroga. E lascia spazio. Spazio per il lettore, per la riflessione, per la propria esperienza di fede, di dubbio, di silenzio. È un romanzo che non cerca di convincere, ma di accompagnare.

In un mondo iper-narrato, Ruffo ci invita al contrario: a fermarci, a disattivare il frastuono, ad abitare la soglia. Ci chiede di considerare la possibilità che esista un senso nel non dire.

Conclusione

I silenzi dell’Abbé Tomàs è un’opera rara nel panorama narrativo italiano. Non solo per la tematica spirituale affrontata con discrezione e profondità, ma soprattutto per il coraggio della sottrazione. Nicola Ruffo firma un romanzo breve, ma di lunga durata: un testo che si sedimenta, si riapre a ogni lettura, e lascia tracce silenziose nella coscienza di chi lo legge.









venerdì 20 giugno 2025

Anita di Laura Colosso. Recensione di Lorena Marcelli

Recensione: Anita di Laura Colosso. 


Anita è un romanzo che restituisce voce e corpo ad Anita Garibaldi. Non è la statua su un piedistallo, ma una donna in carne e ossa, con paure, desideri, errori.
Il viaggio inizia in Brasile, quando Anita ha diciotto anni:

“Sono naufraga in un amore rosso.
Eroina al tempo degli eroi,
poco più di un fantasma.
Sono Anita.”

Fin dall’inizio, emerge una voce intima e consapevole, che attraversa il tempo per raccontare la propria storia con sincerità. È la voce di chi ha vissuto molto, spesso nell’ombra, ma ha ancora qualcosa da dire.
Il romanzo segue Anita nell’incontro con Giuseppe Garibaldi – che lei chiama José – e nel loro amore travolgente. Un sentimento che la spinge a lasciare tutto: casa, famiglia, sicurezza. Lei non sa leggere né scrivere, ma sa amare con forza e istinto.

 “Non appena la vede, sa che la vuole. Per Anita è subito amore, folle, passionale, cieco… Perché è lui la sua casa.”

È un amore che attraversa continenti e battaglie: il Brasile, l’Uruguay, poi l’Italia. Tra guerre, fughe, maternità, perdite e ideali, Anita resta sempre fedele a se stessa.
Il racconto è costruito in prima persona. La voce di Anita è semplice ma carica di emozioni. Parla senza abbellimenti, con frasi dirette, che arrivano dritte al cuore. Non è un’eroina perfetta: è gelosa, impulsiva, vulnerabile. Ed è proprio questo che la rende vera.
Il romanzo parla anche di identità femminile. Anita non è solo la compagna di un grande uomo. È una donna che sceglie, che agisce, che combatte. Guida cavalli, affronta i pericoli, prende decisioni difficili. È madre, amante, ribelle. In ogni ruolo cerca di restare sé stessa.
La scrittura è fluida. I capitoli brevi accompagnano il lettore in un percorso fatto di eventi ma anche di pensieri e sentimenti. L’autrice ricostruisce la vicenda storica con precisione, ma senza mai appesantire la narrazione.
Anita è un libro che parla di libertà, di coraggio e di amore. Ma anche di dolore, di assenze, di limiti. È un romanzo che restituisce dignità e voce a una donna spesso raccontata solo attraverso gli occhi degli altri.
Consigliato a chi ama le storie vere, raccontate con passione e onestà. E a chi vuole scoprire davvero chi era Anita, oltre la leggenda.

mercoledì 18 giugno 2025

Diario di viaggio a Ravenna




Diario di viaggio – Ravenna, 7-8 giugno 2025

Sabato 7 giugno 2025

Sono arrivata a Ravenna verso mezzogiorno, con il cuore aperto e la voglia di immergermi nella bellezza. La luce era piena, calda, e le strade del centro sembravano respirare un’armonia antica. Appena scesa dal treno, ho sentito che questa città mi avrebbe conquistata. Ho raggiunto il B&B Al Passatore, dove ho alloggiato per la notte. Una struttura tranquilla, semplice e accogliente, con un’atmosfera genuina che mi ha fatta sentire subito a mio agio. Per pranzo ho deciso di restare lì, e ho ordinato una tagliata di carne: morbida, cotta al punto giusto, condita con olio profumato e accompagnata da patate croccanti. Era un piatto che sapeva di casa e di territorio. Un inizio perfetto.

Nel pomeriggio ho iniziato la mia immersione nei tesori monumentali della città. La Basilica di San Vitale è stata il primo incanto. Entrando, ho trattenuto il respiro: lo spazio si apre in una danza di colonne, luci e mosaici. I volti di Giustiniano e Teodora ti osservano da secoli, vivi di colore e intensità. Oro ovunque, ma mai eccessivo: piuttosto vibrante, sacro, immerso in una luce che sembrava venire da un altro tempo. Mi sono sentita piccola, ma in un modo pieno, parte di qualcosa che attraversa i secoli. A pochi passi, nel Mausoleo di Galla Placidia, mi sono commossa. Le volte blu trapunte di stelle dorate sembravano un cielo caduto sulla terra. Lì il silenzio è quasi fisico, e ti avvolge. C’è una quiete che penetra sotto la pelle, e mi sono fermata a lungo ad ascoltarla. Dopo una breve pausa in camera, sono tornata al B&B per la cena, e ho scelto una bistecca alla griglia, tenera e succosa, con contorni semplici e genuini. C’è qualcosa di confortante nel ritrovare buoni sapori dopo tanta bellezza. Poi è arrivato il momento più sorprendente della giornata: la visita guidata serale, dedicata agli omicidi celebri della storia di Ravenna. La guida era bravissima: appassionata, competente, con una voce coinvolgente e una capacità rara di intrecciare i fatti storici con l’emozione. Abbiamo camminato tra vicoli, piazze e antichi palazzi ascoltando storie vere – documentate – che raccontavano tradimenti, passioni, vendette. Personaggi celebri, notabili, poeti, uomini di potere… ognuno con il proprio destino segnato nel cuore della città. Di sera Ravenna cambia volto: le ombre disegnano un altro tipo di mappa, e ho sentito la storia quasi sussurrare dalle pietre. È stato emozionante, e anche un po’ struggente.

Domenica 8 giugno 2025

La mattina è iniziata con una colazione semplice e buona: pane fresco, burro, marmellata, caffè. Ho lasciato la stanza con gratitudine, poi sono tornata verso il centro con la voglia di perdermi un po’. La Basilica di Sant’Apollinare Nuovo mi ha accolto con la sua navata lunga, elegante, ornata da una fila di santi che sembrano camminare con te. I mosaici sono infiniti, luminosi e vividi: ogni figura sembra raccontare la sua storia, ogni angolo custodisce un gesto, un silenzio. Poi mi sono diretta verso la Tomba di Dante, piccola e raccolta, ma intensa. Lì, davanti alla sua lapide, ho pensato alla forza delle parole, al suo lungo esilio, alla dignità della memoria. Subito dopo ho attraversato il giardino della zona dantesca, pieno di verde e silenzio, e ho sostato su una panchina a respirare quell’aria sospesa.A pranzo ho scelto una trattoria nel cuore del centro: cappelletti romagnoli in brodo, serviti con un sorriso e un calice di vino. Il tempo sembrava rallentato, i tavoli intorno pieni di famiglie, voci leggere, mani che si stringevano. Nel pomeriggio ho visitato il Battistero Neoniano, dove l’azzurro e l’oro dei mosaici si intrecciano in un cielo che gira intorno a Cristo nel Giordano. C’è una sensazione particolare lì: l’acqua, la luce, la forma circolare che ti raccoglie, quasi ti culla. Passeggiando ancora tra le vie della città, ho pensato a quanto Ravenna sia un luogo che si ascolta più che si guarda. È fatta di dettagli silenziosi, di pietre che raccontano, di arte che vibra senza gridare.

Sono tornata a casa con qualcosa in più: una gratitudine piena, e il desiderio di tornare. Perché in due giorni non si esaurisce il cuore di una città così viva, stratificata, intensa. Ravenna mi ha parlato, e io l’ho ascoltata.

domenica 30 marzo 2025

Diario di viaggio a Ferrara

 


Diario di Viaggio a Ferrara – 29 e 30 marzo 2025

Sabato, 29 marzo 2025

Il mio viaggio a Ferrara è iniziato con un piccolo imprevisto: il treno ha accumulato un’ora di ritardo. Nonostante l’attesa, non mi sono lasciata scoraggiare. Quando finalmente sono arrivata alla stazione, la città mi ha accolta con il suo fascino discreto e le strade bagnate dalla pioggia. Il cielo grigio sembrava non voler cessare di piangere, ma in fondo questo aggiungeva un’atmosfera intima e avvolgente alla città.

Dopo aver lasciato i bagagli in hotel, ho deciso di dirigermi subito verso Palazzo dei Diamanti per visitare la mostra dedicata a Mucha e Boldini. L’arte di entrambi mi ha affascinata: Mucha, con i suoi eleganti ritratti di donne incorniciate da motivi naturali, ha trasportato i miei occhi in un mondo di delicatezza e grazia. Boldini, con le sue opere vibranti e dinamiche, mi ha mostrato una femminilità forte e sensuale. Ho trascorso ore a perdermi tra i dettagli di queste magnifiche opere, senza nemmeno accorgermi del tempo che passava.


Dopo la mostra, ho deciso di esplorare un po' la città. La pioggia, purtroppo, non ha accennato a fermarsi, ma la bellezza di Ferrara, con le sue vie tranquille e i suoi edifici storici, ha reso ogni passo piacevole. La Cattedrale di San Giorgio, con la sua facciata gotica, mi ha incantata. Entrare al suo interno, con il silenzio che regnava e le luci soffuse, mi ha dato una sensazione di pace in mezzo alla pioggia battente.

Proseguendo la mia passeggiata, mi sono imbattuta in un mercatino di prodotti regionali di tutta Italia, che aggiungeva un tocco di vivacità alla città. Mi sono fermata a gustare alcune specialità tipiche di Ferrara, come i salumi locali e il celebre “pangiallo,” una dolce tradizione della zona. È stato un modo perfetto per immergermi nel cuore della cultura gastronomica ferrarese.

La serata è poi proseguita con una cena tipica in uno dei ristoranti storici della città. Tra i piatti tradizionali, ho assaporato i cappellacci di zucca, accompagnati da un buon vino rosso. La cucina di Ferrara ha un sapore unico, che si mescola con la tradizione e il calore dell’accoglienza locale.

Domenica, 30 marzo 2025

La domenica ha portato con sé un timido sole, che finalmente ha fatto capolino tra le nuvole grigie. Il cielo, pur non essendo completamente azzurro, era più leggero, e il clima, pur fresco, aveva un’aria di speranza che mi ha dato una nuova energia.

Il Castello Estense è stata la mia prima tappa. La maestosità della fortezza mi ha colpita sin da subito. Passeggiando tra le sue sale affrescate e osservando il fossato che lo circonda, mi sono sentita come una protagonista di un romanzo medievale. La vista dalla Torre dei Leoni è stata spettacolare: Ferrara si stendeva davanti a me come una piccola città incantata, tutta da scoprire.




Nel pomeriggio, ho deciso di fare una passeggiata in Largo Castello, dove si stava tenendo un’esposizione di auto d’epoca. La scena era pittoresca: auto storiche di ogni tipo, alcune brillanti e lucide, altre con un aspetto più vissuto, ma tutte affascinanti a modo loro. Mi sono fermata a guardarle per un po', divertendomi a immaginare le storie che queste macchine avrebbero potuto raccontare, se solo avessero potuto parlare.

Infine, ho concluso il mio fine settimana a Ferrara con una passeggiata nel Parco Massari. Il sole era ormai diventato più forte, e tra gli alberi e i fiori appena sbocciati, ho trovato il posto ideale per riflettere su quanto questa città mi avesse conquistata. Ferrara, con la sua eleganza discreta, i suoi angoli nascosti e il suo mix di storia e modernità, è riuscita a sorprendermi ad ogni passo, lasciandomi il cuore un po' più ricco di bellezza.

Questi due giorni, pur con qualche nuvola e qualche imprevisto, sono stati un viaggio che rimarrà con me, un ricordo di arte, storia e piccoli dettagli che rendono ogni viaggio speciale.

sabato 29 marzo 2025

La Mostra di Mucha e Boldini a Ferrara: Un Incontro tra Due Maestri dell'Arte Moderna

 La Mostra di Mucha e Boldini a Ferrara: Un Incontro tra Due Maestri dell'Arte Moderna


Ferrara, città storica dal fascino intramontabile, ospita una delle mostre più attese dell'anno: "Mucha e Boldini. La Belle Époque tra Parigi e Ferrara". Questa straordinaria esposizione riunisce due dei maggiori protagonisti dell'arte europea del XIX e XX secolo: Alphonse Mucha, celebre per le sue illustrazioni Art Nouveau, e Giovanni Boldini, il maestro della pittura elegante e mondana della Belle Époque.

La mostra, allestita presso il Palazzo dei Diamanti, un simbolo dell'arte rinascimentale di Ferrara, propone un'affascinante visione delle opere di questi due grandi artisti, che hanno saputo interpretare e rendere immortale l'atmosfera di un'epoca segnata dal cambiamento sociale, culturale e artistico.

Alphonse Mucha: L'Arte della Bellezza e del Dettaglio

Alphonse Mucha, pittore e illustratore ceco, è un nome che subito evoca il movimento Art Nouveau. Le sue opere sono caratterizzate da linee fluide, motivi decorativi dettagliati e un uso armonioso dei colori, il tutto rivolto a celebrare la bellezza femminile e la natura. Mucha, che ha vissuto a Parigi durante l’apice della Belle Époque, ha creato manifesti iconici che sono diventati simbolo di un’epoca in cui la bellezza era celebrata in ogni sua forma.

La mostra di Ferrara presenta una selezione delle sue opere più celebri, tra cui i manifesti per la famosa attrice Sarah Bernhardt, che lo lanciarono definitivamente nel mondo dell'arte. La sua capacità di trasformare l’arte pubblicitaria in una forma d'arte vera e propria è visibile in ogni singola tela, dove la bellezza delle figure femminili è esaltata da composizioni intricate di fiori, motivi floreali e colori tenui che catturano l'attenzione.

Giovanni Boldini: Il Ritratto della Belle Époque

Accanto a Mucha, la figura di Giovanni Boldini si staglia come uno dei ritrattisti più amati della sua epoca. Originario di Ferrara, Boldini si trasferì a Parigi dove divenne celebre per i suoi ritratti mondani, in cui immortalava l’élite della Belle Époque. Le sue tele sono un inno al dinamismo e alla raffinatezza, con pennellate rapide e fluide che catturano la grazia e l’eleganza dei suoi soggetti.

La mostra offre una panoramica completa delle opere più celebri di Boldini, tra cui ritratti di donne aristocratiche, artisti e personalità del tempo. L'eleganza dei suoi soggetti, spesso dipinti in pose sofisticate e avvolti in abiti sontuosi, rimanda all'atmosfera vibrante della Parigi fin de siècle. La sua maestria nel rendere il movimento e la luce è un elemento che emerge con forza in ogni dipinto.

Un Viaggio tra Due Universi Artistici

Nonostante i due artisti abbiano operato in ambiti apparentemente distanti – Mucha nella grafica e Boldini nella pittura di ritratti – la mostra a Ferrara ci invita a riflettere sulle affinità che li uniscono. Entrambi, infatti, hanno saputo catturare l’essenza della Belle Époque, celebrando la bellezza, l’eleganza e la modernità, ma con linguaggi e tecniche differenti.

Mentre Mucha ha portato l'arte decorativa nella vita quotidiana attraverso manifesti, illustrazioni e design, Boldini ha immortalato l'élite parigina nelle sue tele, raccontando il lusso e la mondanità di una società in fermento. La mostra mette in luce questi due mondi, facendo dialogare la dimensione del decorativismo e dell’illustrazione con quella del ritratto aristocratico, creando un percorso visivo che racconta l’arte e la cultura di un periodo indimenticabile.

Ferrara: La Città che Abbraccia l'Arte

Ferrara, con il suo Palazzo dei Diamanti, rappresenta il contesto ideale per una mostra di tale portata. La città, patrimonio dell’umanità UNESCO, è un crocevia tra la storia dell'arte rinascimentale e le novità artistiche che segnarono il Novecento. La sua tradizione culturale e il suo impegno nella promozione di eventi artistici di livello internazionale rendono Ferrara un punto di riferimento imprescindibile per gli amanti dell’arte.

La mostra Mucha e Boldini è un’opportunità unica per immergersi in due mondi affascinanti e ricchi di storia, attraverso le opere di due artisti che hanno saputo raccontare l’essenza di un’epoca irripetibile.

Conclusioni

L’esposizione di Ferrara rappresenta una rara occasione per vedere da vicino l’opera di due maestri che, pur provenendo da contesti differenti, hanno contribuito a definire l’estetica della Belle Époque. La mostra "Mucha e Boldini" non solo celebra l'arte di questi due grandi, ma ci offre anche una finestra sulla Parigi e sull'Europa di fine secolo, regalandoci un'esperienza visiva indimenticabile.

La mostra è aperta al pubblico fino a maggio 2025, e rappresenta una tappa imperdibile per chiunque desideri immergersi nel cuore pulsante della Belle Époque.

sabato 22 marzo 2025

Oggi ho visto "Follemente"


"Follemente" di Paolo Genovese è una commedia che non solo fa ridere, ma sa anche toccare il cuore. Fin dai primi minuti il film riesce a coinvolgere lo spettatore, trascinandolo in un mix perfetto di ironia, emozioni e riflessioni sul mondo delle relazioni. La trama ruota attorno a Piero e Lara, due trentenni alle prese con le sfide dell’amore e della vita, eppure ogni personaggio che incontrano rappresenta un aspetto della loro personalità più profonda. È davvero affascinante come, attraverso il gioco delle emozioni personificate, il film riesca a esplorare con leggerezza e brillantezza la complessità dei sentimenti umani. La regia di Genovese è come sempre impeccabile, con quel tocco di eleganza che riesce a fondere umorismo e introspezione senza mai risultare pesante. Le interpretazioni degli attori sono straordinarie: Edoardo Leo, Pilar Fogliati, Claudia Pandolfi e una sempre brillante Vittoria Puccini, che dà vita a un personaggio complesso e affascinante, capace di mescolare forza e vulnerabilità. Ogni attore riesce a rendere il proprio personaggio unico, ma soprattutto credibile, facendoci entrare in sintonia con le loro emozioni.L a sceneggiatura è brillante, con dialoghi che alternano leggerezza e profondità, facendo scivolare via il tempo in modo piacevole. È un film che, pur affrontando temi complessi, lo fa con un sorriso, senza mai diventare né troppo serio né banale. È proprio questa la forza di "Follemente": riesce a essere divertente e al tempo stesso emozionante, regalando momenti di pura commedia ma anche spunti di riflessione sul nostro modo di vivere l’amore e le emozioni. 

In definitiva, "Follemente" è una pellicola che consiglio vivamente a chiunque voglia passare un’ora e mezza di puro intrattenimento, ma anche a chi cerca un film che sappia far sorridere e, allo stesso tempo, fare un po' di introspezione. Genovese, ancora una volta, dimostra di saper raccontare la vita con la giusta dose di leggerezza e profondità. Un film che vale decisamente la pena di vedere.

lunedì 17 marzo 2025

Recensione di Mickey 17 (2025) 

Una storia che non sa dove andare

Mickey 17 è uno di quei film che ti lascia con più domande che risposte, e non per un buon motivo. Non che manchi il potenziale – anzi, la premessa sembrava affascinante: un futuro distopico, clonazione, morte e resurrezione, l'incontro con creature aliene. Ma purtroppo il film non riesce mai a prendere una direzione chiara, e questo lo rende frustrante da guardare.

La storia, che parte con l’idea di un uomo che muore e viene riportato in vita ogni volta, è interessante sulla carta, ma in pratica diventa una specie di marasma confuso di eventi che non sembrano mai davvero incastrarsi tra loro. Mickey, il protagonista, è un "Sacrificabile", cioè una persona che viene usata come cavia in missioni pericolose, e ogni volta che muore, viene rigenerato come un clone. Bene, interessante, ma dopo un po' ci si chiede: "Perché dobbiamo vedere tutto questo?" La storia non sembra mai sapere se vuole concentrarsi sui temi filosofici della clonazione e dell’identità o se vuole essere un film d’azione con alieni e tradimenti. A un certo punto sembra che il film stia cercando di fare troppe cose contemporaneamente, ma senza mai riuscire a concentrarsi su una in particolare.

Mickey, interpretato da Robert Pattinson, è un personaggio che dovrebbe essere interessante, ma finisce per sembrare un po’ vuoto. La sua condizione di "Sacrificabile", che dovrebbe portarlo a riflettere sulla vita e sulla morte, viene trattata in modo superficiale. Pattinson sembra un po' perso, come se anche lui non sapesse cosa fare con il suo personaggio. Gli altri, come Nasha (Naomi Ackie) e Mickey18 (lo stesso personaggio in versione clone), sembrano essere lì solo per aggiungere complicazioni alla trama, senza che ci sia una vera connessione emotiva tra loro. Non capiamo mai veramente cosa vogliono o chi sono, il che rende difficile entrare in empatia con loro.

L'incontro con gli striscianti, queste strane creature simili a tardigradi, prometteva di essere il momento clou del film, ma anche qui c'è un grosso problema: non si capisce mai cosa stiano facendo. All'inizio sembrano una minaccia, poi sembra che siano amici, ma alla fine non si capisce veramente cosa vogliano o quale sia il loro ruolo nella storia. E Marshall, il politico tirannico che sembrava essere l’antagonista principale, diventa talmente esagerato che finisce per sembrare quasi una macchietta.

Il problema più grande di Mickey 17 è che non si capisce mai dove stia andando. Passa da un'idea all'altra senza mai fermarsi a riflettere davvero su nessuna di esse. Vorrebbe essere un film sulla clonazione e sulla ricerca di un'identità, ma non approfondisce mai veramente questi temi. Si perde anche nell'azione, senza mai dare al pubblico una motivazione forte per seguirla. A un certo punto ti ritrovi a guardare sullo schermo e ti chiedi: "Perché sta succedendo tutto questo?" È come se il film fosse una lunga serie di eventi che accadono senza una vera causa, e quando finalmente arriva la risoluzione, non senti davvero che sia stata una conclusione soddisfacente. A mio parere la storia non riesce mai a prendere un ritmo giusto, e ogni volta che un elemento sembra intrigante, il film lo abbandona troppo presto per inseguire qualcos'altro. E quando arriva, il finale ti lascia con una sensazione di vuoto, come se avessero dato più importanza a fare scena piuttosto che dare un senso vero alla storia.

Conclusioni

In definitiva, Mickey 17 è un film che sembra avere tante buone idee, ma non sa come svilupparle. Non è né un grande film di fantascienza né un dramma filosofico coinvolgente. Le cose succedono senza mai sentirsi davvero giustificate, i personaggi sono poco sviluppati e la trama sembra andare avanti senza una vera direzione. 


Recensione di "Prima del buio" di Sabrina Grementieri

"Prima del buio" di Sabrina Grementieri è un romanzo che, come una fotografia d'autore, cattura l’essenza delle emozioni più profonde e oscure che accompagnano il cambiamento e la resilienza umana. L'autrice, già apprezzata per Il sole di sera, torna con una storia che mette in scena la lotta contro l’imprevisto, il dolore e la paura, con uno stile raffinato e coinvolgente, capace di emozionare il lettore dalla prima all'ultima pagina.

La protagonista, Alexandra, è una donna indipendente, brillante nel suo lavoro di fotografa freelance e appagata nella sua vita personale, fino a quando una notizia devastante – la scoperta di una grave malattia – irrompe nella sua esistenza e spezza quella serenità che credeva solida. La sua reazione di fronte a questa realtà inaspettata è il cuore pulsante del romanzo, un viaggio interiore che Sabrina Grementieri esplora con una delicatezza straordinaria. La protagonista è costretta a confrontarsi con la sua vulnerabilità, a mettere in discussione certezze consolidate e a riscoprire la forza di reagire.

Lorenzo, l'altro protagonista, è un uomo che vive nella tranquillità rurale delle Langhe, impegnato in una causa umanitaria per i malati di retinopatia e ipovisione. La sua vita cambia in un attimo quando, in un incontro casuale, quasi fatale, incrocia il cammino di Alexandra. È un incontro che si carica di significato, non solo per il destino che li unisce, ma per l’opportunità di ricominciare a vivere nonostante la sofferenza. La Grementieri costruisce il personaggio di Lorenzo con grande sensibilità, mostrandoci un uomo capace di saper affrontare la propria oscurità per illuminare la strada di qualcun altro.

L’incontro tra i due è come un fulmine che squarcia il cielo notturno, un evento che trasforma le loro vite in maniera irreversibile. Alexandra e Lorenzo si trovano a dover fare i conti con un destino che sembra troppo crudele, eppure, è proprio nella difficoltà che nasce la possibilità di riscatto. La scrittura della Grementieri è potente, ma mai invadente, capace di catturare le sfumature emotive di ogni scena e di ogni pensiero, immergendo il lettore in un’atmosfera di riflessione profonda.

Il vero tema del libro non è la malattia, ma la risposta a essa, la capacità di affrontare il buio, di ritrovare la fiducia nel futuro, anche quando tutto sembra ormai perduto. Il romanzo si fa portavoce di un messaggio forte: nonostante la paura e le cadute inevitabili, c’è sempre una possibilità di rinascita. Ogni pagina è una riflessione sul coraggio di vivere, anche quando il buio sembra inesorabile.

Sabrina Grementieri non si limita a narrare una storia di malattia e sofferenza, ma ci offre un percorso di crescita interiore, in cui il cuore, seppur ferito, può ancora battere con forza. La resilienza dei protagonisti è il motore che li spinge a cercare una nuova luce, a risalire dal buio, a trovare il proprio posto in un mondo che, a volte, sembra troppo ingiusto.

La forza della narrazione sta nella sua capacità di mostrare che la vita, nonostante tutto, è sempre degna di essere vissuta. "Prima del buio" è un romanzo che tocca corde profonde, che invita alla riflessione e che, con una scrittura sobria ma intensa, riesce a commuovere senza mai cadere nel melenso. Una lettura emozionante e catartica, che lascia il lettore con la consapevolezza che, anche nei momenti più oscuri, c’è sempre una possibilità di rinnovamento e di speranza.

In conclusione, "Prima del buio" è un libro che non solo racconta una storia di lotta e riscatto, ma esplora anche l’essenza stessa della vita: una continua ricerca di luce, anche quando il mondo sembra avvolto nella notte. Un'opera che resta nel cuore, per la sua capacità di parlare a ciascuno di noi, nel nostro momento di fragilità.



mercoledì 19 febbraio 2025

Il guscio delle cose di Daniele Cavicchia


 

Recensione di Il guscio delle cose di Daniele Cavicchia

Daniele Cavicchia, con Il guscio delle cose, ci consegna una raccolta poetica che si muove tra il visibile e l’invisibile, tra la concretezza della materia e la fragilità dell’anima. Le sue poesie hanno il potere di scavare nel quotidiano, rivelando la memoria delle cose e delle persone attraverso immagini che sanno essere al tempo stesso nitide e sfuggenti.

La raccolta è suddivisa in tre sezioni – Il guscio delle cose, L'appena nata e Così sia – ognuna delle quali sembra costruire un percorso verso una forma di consapevolezza più profonda. La poesia di Cavicchia è asciutta, a tratti essenziale, ma sempre carica di un’intensità emotiva che invita il lettore a soffermarsi sulle pieghe del linguaggio e sul non detto. C’è una ricerca quasi ossessiva del senso che si nasconde nelle cose, nei dettagli, nei gesti minimi, come se la realtà potesse svelare il suo mistero solo a chi ha la pazienza di osservarla con attenzione.

Un tema ricorrente è il dolore, ma mai gridato: è una presenza discreta, che emerge tra le righe, come un'ombra che accompagna la luce. La prefazione di Eugenio Borgna sottolinea proprio questa capacità di Cavicchia di raccontare il dolore senza retorica, lasciando spazio al lettore per riempire i silenzi e completare il significato dei versi.

In definitiva, Il guscio delle cose è una raccolta poetica che colpisce per la sua capacità di trasformare la materia in parola e di far risuonare, attraverso il linguaggio, ciò che normalmente resta nascosto. È un libro per chi ama una poesia che non si impone, ma si insinua, lasciando tracce profonde nella memoria e nella sensibilità di chi legge.

domenica 12 gennaio 2025

Lo diciamo a Liddy? di Anne Fine

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Recensione di Lo diciamo a Liddy? di Anne Fine

Anne Fine, con la sua abilità narrativa e il suo acuto senso dell'umorismo, ci regala una storia intensa e avvincente che esplora le dinamiche familiari, i segreti e i dilemmi morali. Lo diciamo a Liddy? è un romanzo che, pur mantenendo una leggerezza di fondo, affronta temi universali come la lealtà, l'amore fraterno e il prezzo della verità.

La vicenda ruota attorno a quattro sorelle, Heather, Stella, Liddy e Bridie, e al dilemma che le accomuna: rivelare o meno a Liddy un segreto sconvolgente sul suo futuro marito, George. Il romanzo si sviluppa attraverso dialoghi brillanti e situazioni che oscillano tra il comico e il drammatico, rivelando poco a poco le complessità di ciascun personaggio. Liddy, ingenua e ottimista, è la figura al centro del dramma, ma il punto di vista privilegiato è quello delle sorelle, che devono affrontare il peso della decisione e delle conseguenze che ne derivano.

Anne Fine riesce a catturare con maestria i legami che tengono unite le famiglie, anche quelle imperfette, e la sottile tensione tra il desiderio di proteggere chi amiamo e la necessità di essere onesti con loro. La scrittura è vivace e coinvolgente, con descrizioni che portano il lettore dentro le dinamiche della famiglia Funnell, creando empatia per ogni personaggio. Il finale  lascia spazio alla riflessione, senza risposte preconfezionate.

Lo diciamo a Liddy? è un romanzo che intrattiene e fa riflettere, perfetto per chi ama storie familiari ricche di emozioni e dilemmi morali. È una lettura che ci invita a chiederci: fino a che punto siamo disposti a spingerci per proteggere chi amiamo? Un libro consigliato sia ai giovani lettori che agli adulti, per il suo messaggio senza tempo

lunedì 16 dicembre 2024

Fichi di marzo di Kristine Maria Rapino




Fichi di marzo di Kristine Maria Rapino è un romanzo intenso e poetico che si snoda tra le radici profonde di una terra contadina e l’intimità di una vita raccontata attraverso i sapori, gli odori e i colori del mondo rurale. Pubblicato nel 2023, questo libro è una vera rivelazione, grazie alla capacità dell'autrice di intrecciare memoria, sentimento e narrativa con grande delicatezza.

Trama

La storia si ambienta in un piccolo paese dell'entroterra abruzzese, un luogo sospeso tra passato e presente, dove la protagonista – che possiamo leggere come un alter ego dell’autrice – ripercorre la sua vita attraverso episodi personali e familiari. L'elemento centrale è la connessione con la natura e il cibo, simboli della memoria e del legame con la propria identità. I fichi di marzo, che danno il titolo al romanzo, rappresentano una metafora potente: un frutto precoce, fragile e inaspettato, capace di racchiudere un senso di nostalgia, ma anche di speranza.

Lo stile della Rapino è lirico, quasi onirico, capace di evocare immagini vivide e cariche di emozioni. La sua scrittura è immersiva, in grado di catturare il lettore grazie a descrizioni che trasportano nei campi, tra i profumi della terra, le mani sporche di lavoro e il calore delle tradizioni.
Le tematiche affrontate sono molteplici e profonde: il senso di appartenenza, il rapporto con la famiglia e con il passato, la condizione femminile in un mondo spesso dominato dalle regole maschili, e il contrasto tra il desiderio di fuga e l'impossibilità di spezzare certi legami.

La protagonista, di cui non conosciamo il nome, è un personaggio complesso, profondamente umano. Attraverso la sua voce, emergono le fragilità, i dubbi e le emozioni di una donna che cerca di trovare il suo posto nel mondo, divisa tra la modernità e le antiche radici della sua comunità. I personaggi secondari, sebbene delineati con tratti essenziali, risultano vivi e autentici, contribuendo a creare un microcosmo ricco di sfumature.

Fichi di marzo è un romanzo che parla al cuore del lettore, un racconto che sa di terra, di amore e di resilienza. È un’opera che celebra il potere della memoria e delle tradizioni, senza mai indulgere nella retorica, ma anzi rinnovandole con una sensibilità contemporanea. Perfetto per chi ama le storie intime e autentiche, che lasciano un segno profondo.

Consigliato a chi cerca una lettura riflessiva

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