lunedì 23 giugno 2025

I silenzi dell’Abbé Tomàs di Nicola Ruffo - Recensione a cura di Lorena Marcelli

 I silenzi dell'Abbé Tomàs 



  • Autore: Nicola Ruffo

  • Editore: CTL (Livorno), pubblicato il 30 agosto 2024 Pagine: 204

  • Prezzo indicativo: circa 13–14 €

    Trama

    Il romanzo si svolge nell’isolato Eremo delle Sorgive, dove convergono due anime: un uomo dichiaratamente ateo, alla ricerca di senso, e l’Abbé Tomàs, un frate silenzioso che ha abbracciato la contemplazione in solitudine.
    A spezzare il silenzio, arriveranno l’amore travagliato di una giovane, Anna, e la presenza di una bimba autistica, elementi che intrecciano dimensione spirituale, emotiva e umana .

“C’è un silenzio che non è vuoto, ma pieno. Pieno di senso, di assenza, di domande. È quel silenzio che si fa carne nelle pagine del romanzo di Nicola Ruffo.”

In un tempo in cui la parola è inflazionata e il rumore assedia ogni angolo dell'esistenza, I silenzi dell’Abbé Tomàs si impone come un gesto controcorrente. Con uno stile sobrio e meditativo, Nicola Ruffo costruisce una narrazione dove il silenzio non è solo un tema, ma la vera architettura della storia.

Il romanzo è ambientato in un luogo che sembra sospeso fuori dal tempo: l’Eremo delle Sorgive, spazio rarefatto, al confine tra il mondo e la rinuncia. È lì che il protagonista, un uomo dichiaratamente ateo, si ritira — non per fede, ma per bisogno. Lo accoglie l’Abbé Tomàs, un frate che ha scelto di non parlare. Ma il silenzio dell’Abbé non è un rifiuto, bensì un ascolto attivo, una forma di presenza più intensa di qualsiasi parola.

Struttura e linguaggio: la narrazione come meditazione

La struttura del romanzo è essenziale, quasi spoglia. Capitoli brevi, dialoghi ridotti all’osso, narrazione lineare. Ma è proprio in questa nudità che si gioca la forza del testo. Ruffo scrive con la pazienza di chi sa aspettare la parola giusta, evitando enfasi e sentimentalismi. Lo stile è asciutto, lirico nella sua sobrietà, e richiama la prosa mistica più che la narrativa contemporanea.

Le descrizioni dell’eremo, della natura circostante, della quotidianità silenziosa dei due uomini, agiscono per sottrazione: il lettore è invitato a colmare i vuoti con la propria interiorità. In questo senso, I silenzi dell’Abbé Tomàs non è un romanzo da leggere passivamente: è un’esperienza da attraversare, lentamente, con rispetto.

Il dialogo tra fede e dubbio

Il vero cuore del romanzo non è il contrasto tra credente e ateo, ma la loro reciproca ricerca. L’Abbé Tomàs non predica. Non tenta di convertire. Il suo silenzio diventa specchio: riflette i turbamenti dell’altro, ma anche i propri. Perché, nel corso del racconto, anche l’Abbé si rivela uomo, con un passato fatto di ferite, di rinunce, forse di colpa.

La fede, nel romanzo, non è mai dogma. È piuttosto una forma di vulnerabilità radicale, una nudità dell’anima. Il dubbio, allora, non è nemico della fede, ma suo compagno inevitabile. Ruffo lo sa, e costruisce tra i due personaggi un equilibrio narrativo delicatissimo, che tocca il lettore senza mai forzarlo.

Anna e la bambina: la tenerezza come interruzione

A turbare l’equilibrio silenzioso dell’eremo arrivano due presenze femminili: una giovane donna, Anna, e una bambina autistica. La loro comparsa introduce nella storia una seconda linea narrativa: quella dell’amore ferito, della tenerezza interrotta, del linguaggio che non passa dalla parola ma dagli sguardi, dai gesti minimi.

La bambina, in particolare, è uno dei personaggi più intensi del romanzo. La sua diversità non è narrata con pietismo, ma con rispetto profondo. La sua incapacità di comunicare nel modo convenzionale diventa eco del silenzio dell’Abbé — una comunicazione altra, fragile, misteriosa, ma potentemente viva.

Un romanzo che interpella

I silenzi dell’Abbé Tomàs non è un libro che si consuma in fretta. Non intrattiene, ma interroga. E lascia spazio. Spazio per il lettore, per la riflessione, per la propria esperienza di fede, di dubbio, di silenzio. È un romanzo che non cerca di convincere, ma di accompagnare.

In un mondo iper-narrato, Ruffo ci invita al contrario: a fermarci, a disattivare il frastuono, ad abitare la soglia. Ci chiede di considerare la possibilità che esista un senso nel non dire.

Conclusione

I silenzi dell’Abbé Tomàs è un’opera rara nel panorama narrativo italiano. Non solo per la tematica spirituale affrontata con discrezione e profondità, ma soprattutto per il coraggio della sottrazione. Nicola Ruffo firma un romanzo breve, ma di lunga durata: un testo che si sedimenta, si riapre a ogni lettura, e lascia tracce silenziose nella coscienza di chi lo legge.









venerdì 20 giugno 2025

Anita di Laura Colosso. Recensione di Lorena Marcelli

Recensione: Anita di Laura Colosso. 


Anita è un romanzo che restituisce voce e corpo ad Anita Garibaldi. Non è la statua su un piedistallo, ma una donna in carne e ossa, con paure, desideri, errori.
Il viaggio inizia in Brasile, quando Anita ha diciotto anni:

“Sono naufraga in un amore rosso.
Eroina al tempo degli eroi,
poco più di un fantasma.
Sono Anita.”

Fin dall’inizio, emerge una voce intima e consapevole, che attraversa il tempo per raccontare la propria storia con sincerità. È la voce di chi ha vissuto molto, spesso nell’ombra, ma ha ancora qualcosa da dire.
Il romanzo segue Anita nell’incontro con Giuseppe Garibaldi – che lei chiama José – e nel loro amore travolgente. Un sentimento che la spinge a lasciare tutto: casa, famiglia, sicurezza. Lei non sa leggere né scrivere, ma sa amare con forza e istinto.

 “Non appena la vede, sa che la vuole. Per Anita è subito amore, folle, passionale, cieco… Perché è lui la sua casa.”

È un amore che attraversa continenti e battaglie: il Brasile, l’Uruguay, poi l’Italia. Tra guerre, fughe, maternità, perdite e ideali, Anita resta sempre fedele a se stessa.
Il racconto è costruito in prima persona. La voce di Anita è semplice ma carica di emozioni. Parla senza abbellimenti, con frasi dirette, che arrivano dritte al cuore. Non è un’eroina perfetta: è gelosa, impulsiva, vulnerabile. Ed è proprio questo che la rende vera.
Il romanzo parla anche di identità femminile. Anita non è solo la compagna di un grande uomo. È una donna che sceglie, che agisce, che combatte. Guida cavalli, affronta i pericoli, prende decisioni difficili. È madre, amante, ribelle. In ogni ruolo cerca di restare sé stessa.
La scrittura è fluida. I capitoli brevi accompagnano il lettore in un percorso fatto di eventi ma anche di pensieri e sentimenti. L’autrice ricostruisce la vicenda storica con precisione, ma senza mai appesantire la narrazione.
Anita è un libro che parla di libertà, di coraggio e di amore. Ma anche di dolore, di assenze, di limiti. È un romanzo che restituisce dignità e voce a una donna spesso raccontata solo attraverso gli occhi degli altri.
Consigliato a chi ama le storie vere, raccontate con passione e onestà. E a chi vuole scoprire davvero chi era Anita, oltre la leggenda.

mercoledì 18 giugno 2025

Diario di viaggio a Ravenna




Diario di viaggio – Ravenna, 7-8 giugno 2025

Sabato 7 giugno 2025

Sono arrivata a Ravenna verso mezzogiorno, con il cuore aperto e la voglia di immergermi nella bellezza. La luce era piena, calda, e le strade del centro sembravano respirare un’armonia antica. Appena scesa dal treno, ho sentito che questa città mi avrebbe conquistata. Ho raggiunto il B&B Al Passatore, dove ho alloggiato per la notte. Una struttura tranquilla, semplice e accogliente, con un’atmosfera genuina che mi ha fatta sentire subito a mio agio. Per pranzo ho deciso di restare lì, e ho ordinato una tagliata di carne: morbida, cotta al punto giusto, condita con olio profumato e accompagnata da patate croccanti. Era un piatto che sapeva di casa e di territorio. Un inizio perfetto.

Nel pomeriggio ho iniziato la mia immersione nei tesori monumentali della città. La Basilica di San Vitale è stata il primo incanto. Entrando, ho trattenuto il respiro: lo spazio si apre in una danza di colonne, luci e mosaici. I volti di Giustiniano e Teodora ti osservano da secoli, vivi di colore e intensità. Oro ovunque, ma mai eccessivo: piuttosto vibrante, sacro, immerso in una luce che sembrava venire da un altro tempo. Mi sono sentita piccola, ma in un modo pieno, parte di qualcosa che attraversa i secoli. A pochi passi, nel Mausoleo di Galla Placidia, mi sono commossa. Le volte blu trapunte di stelle dorate sembravano un cielo caduto sulla terra. Lì il silenzio è quasi fisico, e ti avvolge. C’è una quiete che penetra sotto la pelle, e mi sono fermata a lungo ad ascoltarla. Dopo una breve pausa in camera, sono tornata al B&B per la cena, e ho scelto una bistecca alla griglia, tenera e succosa, con contorni semplici e genuini. C’è qualcosa di confortante nel ritrovare buoni sapori dopo tanta bellezza. Poi è arrivato il momento più sorprendente della giornata: la visita guidata serale, dedicata agli omicidi celebri della storia di Ravenna. La guida era bravissima: appassionata, competente, con una voce coinvolgente e una capacità rara di intrecciare i fatti storici con l’emozione. Abbiamo camminato tra vicoli, piazze e antichi palazzi ascoltando storie vere – documentate – che raccontavano tradimenti, passioni, vendette. Personaggi celebri, notabili, poeti, uomini di potere… ognuno con il proprio destino segnato nel cuore della città. Di sera Ravenna cambia volto: le ombre disegnano un altro tipo di mappa, e ho sentito la storia quasi sussurrare dalle pietre. È stato emozionante, e anche un po’ struggente.

Domenica 8 giugno 2025

La mattina è iniziata con una colazione semplice e buona: pane fresco, burro, marmellata, caffè. Ho lasciato la stanza con gratitudine, poi sono tornata verso il centro con la voglia di perdermi un po’. La Basilica di Sant’Apollinare Nuovo mi ha accolto con la sua navata lunga, elegante, ornata da una fila di santi che sembrano camminare con te. I mosaici sono infiniti, luminosi e vividi: ogni figura sembra raccontare la sua storia, ogni angolo custodisce un gesto, un silenzio. Poi mi sono diretta verso la Tomba di Dante, piccola e raccolta, ma intensa. Lì, davanti alla sua lapide, ho pensato alla forza delle parole, al suo lungo esilio, alla dignità della memoria. Subito dopo ho attraversato il giardino della zona dantesca, pieno di verde e silenzio, e ho sostato su una panchina a respirare quell’aria sospesa.A pranzo ho scelto una trattoria nel cuore del centro: cappelletti romagnoli in brodo, serviti con un sorriso e un calice di vino. Il tempo sembrava rallentato, i tavoli intorno pieni di famiglie, voci leggere, mani che si stringevano. Nel pomeriggio ho visitato il Battistero Neoniano, dove l’azzurro e l’oro dei mosaici si intrecciano in un cielo che gira intorno a Cristo nel Giordano. C’è una sensazione particolare lì: l’acqua, la luce, la forma circolare che ti raccoglie, quasi ti culla. Passeggiando ancora tra le vie della città, ho pensato a quanto Ravenna sia un luogo che si ascolta più che si guarda. È fatta di dettagli silenziosi, di pietre che raccontano, di arte che vibra senza gridare.

Sono tornata a casa con qualcosa in più: una gratitudine piena, e il desiderio di tornare. Perché in due giorni non si esaurisce il cuore di una città così viva, stratificata, intensa. Ravenna mi ha parlato, e io l’ho ascoltata.

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