Recensione di Il guscio delle cose di Daniele Cavicchia
Daniele Cavicchia, con Il guscio delle cose, ci consegna una raccolta poetica che si muove tra il visibile e l’invisibile, tra la concretezza della materia e la fragilità dell’anima. Le sue poesie hanno il potere di scavare nel quotidiano, rivelando la memoria delle cose e delle persone attraverso immagini che sanno essere al tempo stesso nitide e sfuggenti.
La raccolta è suddivisa in tre sezioni – Il guscio delle cose, L'appena nata e Così sia – ognuna delle quali sembra costruire un percorso verso una forma di consapevolezza più profonda. La poesia di Cavicchia è asciutta, a tratti essenziale, ma sempre carica di un’intensità emotiva che invita il lettore a soffermarsi sulle pieghe del linguaggio e sul non detto. C’è una ricerca quasi ossessiva del senso che si nasconde nelle cose, nei dettagli, nei gesti minimi, come se la realtà potesse svelare il suo mistero solo a chi ha la pazienza di osservarla con attenzione.
Un tema ricorrente è il dolore, ma mai gridato: è una presenza discreta, che emerge tra le righe, come un'ombra che accompagna la luce. La prefazione di Eugenio Borgna sottolinea proprio questa capacità di Cavicchia di raccontare il dolore senza retorica, lasciando spazio al lettore per riempire i silenzi e completare il significato dei versi.
In definitiva, Il guscio delle cose è una raccolta poetica che colpisce per la sua capacità di trasformare la materia in parola e di far risuonare, attraverso il linguaggio, ciò che normalmente resta nascosto. È un libro per chi ama una poesia che non si impone, ma si insinua, lasciando tracce profonde nella memoria e nella sensibilità di chi legge.
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