Editore: Edizioni Esordienti Ebook
L’autore
: Lidia Del Gaudio
Nata a Napoli sotto il segno della bilancia, si
laurea in lettere filosofia e lavora per molti anni nell’ambito della selezione
e formazione del personale di una grande azienda di servizi, senza mai
dimenticare la sua passione per la scrittura e la pittura. Le inclinazioni
artistiche sono un dono a cui non si può rinunciare, infatti, quali che siano
le ipotesi di vita che ci si trova a percorrere. Ed ecco che nascono poesie e
racconti raccolti in varie antologie e, nel 2014, il primo romanzo.
Appassionata anche di cinema, dipinge e strimpella pianoforte e chitarra. I
suoi scrittori preferiti: Stephen King, Stefano Benni, Carlos Ruiz Zafón.
Pubblicazioni più recenti
-2013 Schegge per un Natale horror Dunwich
Edizioni.
-2014 I Colori del male - Romanzo
thriller-.Lettere Animate Editore
-2014 La Serra trema Dunwich
Edizioni
-2015 Pillole (di follia quotidiana) Racconti
– I Sognatori Editore.
Trama
Giulia e Ted si sono separati bruscamente tre anni prima e le loro vite
sono ormai un disastro. Lei è finita nella spirale della depressione, lui
condivide sesso e avventure con Walter, amico suo da sempre. Al risveglio in
ospedale, dov’è arrivata per una overdose da farmaci, Giulia ripensa al
racconto che Capitan Nadìr, padre di Ted, le ha fatto su Sensini, piccolo borgo
di mare, incastonato sul promontorio di Punta Capovento. Si tratta di una
leggenda che potrebbe aiutarla a ritrovare se stessa e l’amore perduto, come ha
aiutato i genitori di Ted quarant’anni prima. La storia scorre tra ricordi
forti e indelebili, passioni mai spente e amicizie tradite, fino alla
conclusione dai risvolti fantastici in cui il rapporto con la natura diventa
metafora di pace interiore e di immortalità, velato omaggio all’Orizzonte
perduto di Hilton.
INCIPIT
Il buio le oscura i pensieri. Ha sognato di essere
alla deriva dentro un temporale, poi la barca s'è rovesciata e lei è caduta in
acqua, sempre più giù, la sensazione di soffocare. Prende le compresse dal
comodino, ne ingoia due senz’acqua. Rivolge lo sguardo al telefono grigio,
nascosto dietro il lume acceso. Prova ad alzare la cornetta, ma ci ripensa,
barcolla fino al bagno, beve un sorso d’acqua dal palmo della mano e solleva la
testa per osservarsi allo specchio. Quel che vede non le piace: ha l’aspetto
bianco e lucido d'una maschera di cera, spenta, inespressiva, contornata da
nulla, perché neanche i capelli ci sono più, ridotti a piccole ciocche
inconsistenti, irregolari. Un riflesso viola dilaga intorno agli occhi come una
folle spruzzata d'ombretto e lo stesso effetto scuro compare tra l'incavatura
delle guance. Si sottrae in fretta, non vuole credere d’essere proprio lei.
Pensa che sia colpa di quella stupida lampadina. O di quelle ancor più stupide
pillole che l'allontanano sempre più dalla realtà. Torna a rannicchiarsi sul
letto in cerca di una dolcezza senza sogni, nella quale può sentire la voce di
Nadir. Avverte quasi il dondolio ipnotico della barca mentre lui racconta, il riverbero
del sole, la profondità del mare, la leggenda dell’acqua, Punta Capovento, il
suo segreto. Quel ricordo le è tornato in mente appena si è svegliata in
ospedale e non se ne è più andato. È quello che le ha dato la forza di arrivare
fin lì. Si rimette in piedi smaniosa: dalla finestra, una strada larga e
silenziosa, deserta a quell'ora di notte. L'aria è umida e fredda e il fiato si
condensa contro il vetro. Anche se l'alba pare ancora lontana, l’orologio dice
che non dovrà aspettare molto. Comincia a prepararsi, non possiede che un paio
di jeans e la maglia che indossa, i farmaci. I soldi di Ferrari li ha spesi
tutti, pur di liberarsene ha comprato degli occhiali da sole cerchiati di
tartaruga: dietro i vetri scuri sente di poter nascondere lo sguardo disperato
che lo specchio del bagno le ha rimandato poco prima. Mette da parte anche le
ricette che lui le ha fatto. È stato bravo, dopo tutto, ha capito come
prenderla, come farla parlare. Ma lei voleva proprio che qualcuno l’ascoltasse,
e, durante i colloqui in ospedale, è riuscita a raccontare anche della morte di
Maria Pia, di quella mattinata calda e luminosa e di come le fosse sembrata
fuori luogo, stonata. Tra la gente che affollava l'ingresso dell'Accademia, tra
allievi e musicisti, aveva intravisto Ornella e molti dei vecchi colleghi, ma
s’era nascosta per non incontrarli. Non era neppure riuscita a piangere, ma
solo a ingozzarsi di schifezze per poi finire al pronto soccorso. Poi
l’hanno dimessa, Ferrari l'ha rincorsa per strada, guidandola fino alla sua
auto parcheggiata poco distante e lei, incapace di dare un significato a quanto
stesse facendo, l'ha seguito. Non si è rifiutata, non ha nemmeno tentato,
pensando che quella fosse una soluzione scontata. Non ha prestato attenzione
alle strade che percorrevano, né avrebbe saputo dire come si chiamava l'albergo
dovesi sono fermati. Lui l'ha preceduta per le scale e le ha aperto la porta.
Ricorda di aver appoggiato la borsa su una struttura di ferro con le strisce di
pelle chiara e non ha avuto più nulla da fare. “Allora, che ne pensi? Puoi
anche restarci un paio di giorni, se ti va”, ha detto lui, passandole una
sigaretta accesa. Non le è mai piaciuto il tabacco e si è sempre rifiutata di
fumare per disciplina, come voleva la sua maestra di danza. Però in quel caso
ha accettato la sigaretta e ne ha aspirato una boccata. Il fumo le ha
invaso bocca e gola, mozzandole il respiro. “È un po' forte”, l’ha subito
restituita, il sorriso incerto. Lui è sembrato divertito, l’intensità dello
sguardo l'ha imbarazzata, ha cercato di sfuggirvi deviando l’attenzione sulle
pareti tappezzate di carta a fiori azzurri e un piccolo armadio bianco. Sul
tavolino una guida di Roma. L'ha presa in mano illudendosi che dopo tanto tempo
potesse anche comportarsi da turista.Ferrari intanto ha spalancato il piccolo
frigobar e, piegato sulle ginocchia, ha chiesto cosa volesse bere. Immediata la
sensazione di non poter mandare giù niente, quel blocco impediva ogni accesso,
nemmeno la pietà sarebbe passata. Poi, si è ricordata d'essere fatta di carne e
ossa, con una bocca, un gusto, il deglutire. “Non lo so, vedi tu, una cosa
qualunque”. Ha preso il bicchiere di plastica trasparente con sincera
indifferenza; ne ha bevuto un sorso e si è chiesta se stare lì ad aspettare che
uno sconosciuto le mettesse le mani addosso potesse essere considerata una cosa
naturale. Lui era simpatico, il fisico ben piantato, gli occhiali tondi da
intellettuale. Non le ha dato noia che s'avvicinasse dondolando la testa:
“Insomma, non posso credere che tu non abbia nessuno che si prenda cura di te o
che ti stia aspettando.” E quando è stato a un solo passo, le ha sfiorato la
gola con le dita: “Sei molto bella, lo sai?” Un abbraccio ingenuo, dolce, dita
tiepide le hanno sbottonato la maglia, si sono intrufolate per accarezzarle il
seno. Il calore di quelle mani sulla pelle gelata l’ha rinfrancata. Poi, le
cose si sono complicate, lui ha cercato di spogliarla e lei ha cercato di
sottrarsi.“Sta’ tranquilla”, il tono dell’uomo è diventato avido di desiderio,
le mani hanno frugato nelle tasche dei pantaloni. “Ecco, vedi? Non c'è paura.”
E le ha mostrato la bustina col preservativo. “Basta fare le cose per
bene.”
*******
Quella che andiamo a recensire è una storia che, a
prima vista sembra un racconto d’ amore
e che, pagina dopo pagina assume le sfumature di un avvincente thriller, che ti inchioda nella
lettura e che, alla fine, ti sorprende e
ti lascia stordito. La scrittura
di Lidia De Gaudio è accattivante e coinvolgente e la tecnica usata
dall’autrice rivela una capacità non
comune di raccontare una vicenda complessa da diversi punti di vista, in modo che il
lettore possa vivere la stessa insieme ai protagonisti principali, cambiando
anche, di volta in volta, opinione in merito a quanto appena letto.
Tutti i personaggi ruotano intorno alla figura di
Giulia, ragazza bellissima e fragile, ma talmente forte e carismatica da
riuscire a tenere intrappolati a sé tutti gli altri, che appaiono
contemporaneamente vittime e carnefici,
come lo è lei stessa. Giulia c’è ma è sfuggente, ed è l’unica protagonista che
non racconta la sua storia in prima persona. Ted e Walter lo fanno, ci fanno
entrare nella loro vita e nei loro sentimenti e cercano di farci capire,
attraverso le loro parole, cosa li ha indotti a comportarsi in un determinato
modo. Giulia non lo fa. Si lascia raccontare in terza persona. Si nega anche al
lettore e non lascia trasparire nulla di
sé, se non quello che le interessa farci
conoscere pagina dopo pagina, fino a
quando i pezzi non si ricomporranno a Punta Capovento, luogo magico e pieno di
segreti, antichi e recenti.
Mi piacciono i romanzi “insoliti”, che non svelano
troppo e che costringono il lettore a proseguire la lettura pagina dopo pagina,
con la voglia di scoprire cosa accadrà alla fine. Il Segreto di Punta Capovento
è uguale a Giulia: forte e violento, ma nel contempo leggero e delicato , come
tutte le storie raccontate “bene” sanno essere.
Consigliatissimo.
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