IL SOGNO SEGRETO DI ZEKHARIA BLUM
CLAUDIO OLIVA
Molti anni fa, vicino a una palude degli sconfinati
Stati Uniti d’America, un uomo di nome Zekharia moriva con un sogno
irrealizzato nel cuore.
Dicono che i sogni abbiano una vita propria e
infatti quello di Zekharia non morì insieme a lui, ma crebbe.
Molti anni dopo il sogno tornò a quella palude e
vide che tante cose non erano cambiate, c’erano anguille, rane e funghi da
inventare, c’era una bambina che cercava fantasmi, un bambino che amava i
cetriolini e c’era Mykhael che forse è il personaggio principale. Così il sogno
decise che quel posto era ancora la sua casa, e ciò è strano, perché di norma,
il sogno, un posto che fa casa non ce l’ha.
Si potrebbe dire che questa sia la storia di quel
sogno, ma se fosse solo così non sarebbe valsa la pena raccontarla. Ci sono di
mezzo vite e persone, bisogni e cuori generosi, c’è la ricerca di ciò che conta
davvero nella vita e c’è la storia di un uomo che ha smesso di cercare, perché il senso della vita non si trova altrove. Molti
direbbero allora che si tratta di una fiaba, perché le storie così belle oggi si
chiamano fiabe.
Forse è vero, Il sogno segreto di Zekharia Blum
è un libro per ragazzini. E in effetti delle fiabe questo libro ha la
gentilezza e l’armonia. E la magia che solo gli occhi incantati di un ragazzino
riescono a vedere.
Potremmo dire che non c’interessa, noi, che ci
sentiamo saggi perché abbiamo smesso di sognare. Chissà quando ci accorgeremo di
non averci guadagnato niente. Resta il fatto che le fiabe non le leggiamo, e dei
sogni abbiamo paura, perché i sogni rivelano la nostra faccia nascosta quella che
non riusciamo ad accettare.
Non c’è nulla di sbagliato nei sogni e non c’è nulla
di sbagliato nell’avere paura, l’ errore è solo nel binomio.
Così alla fine il nocciolo della storia è proprio
qui. Un insegnamento grande raccontato
con la semplicità e il candore delle storie belle. Per questo Il sogno
segreto di Zekharia Blum resta una fiaba ma è una fiaba importante in grado
di parlare a tutti, anche a quella parte in ognuno di noi, piccola e smisurata,
che adulta non lo vuole proprio diventare.
COME FOGLIE AL VENTO
STEFANO PAVESIO
Questa non è un una semplice storia, si può leggere, infatti, in molti modi.
Inizia nel 1988 con quattro ragazzini, Rolando detto Candelina, Michele, Davide detto Gaui ed Elisa. Hanno dodici anni e una vita che ha riservato loro solo allegria.
Questa storia finisce nel 2006, e siccome i ragazzini sono diventati grandi, hanno scelto strade diverse, non giocano insieme da tanto tempo, e da troppo non si vedono più. Non ci sarebbe molto altro da dire, nel mezzo 18 anni di vita, di evoluzione, di trasformazione verso l’età adulta.
Un romanzo di formazione a tutti gli effetti.
Ma non basta.
C’è anche la seconda guerra mondiale e la città di Asti, e le bombe, e i rifugi antiaerei , sempre troppo lontani e sempre troppo pochi. Poi la guerra finisce e arriva il dopo, con la miseria e la disperazione dei suoi abitanti, che è disperata voglia di vivere.
Potete allora pensare che sia pure un romanzo storico.
Ma non basta ancora.
C’è l’inquietante storia di un borgo abbandonato. Deserto dalla notte di Natale del 1946. Che fine hanno fatto i suoi abitanti? Erano uomini donne e bambini, partiti tutti insieme per Asti. Ma ad Asti non ci sono mai arrivati. E il borgo ormai deserto si è chiuso in sé, circondato e protetto da un bosco inquietante e malevolo. Perché è così che diventano i boschi, quando la sofferenza e il sangue inzuppano il loro territorio.
Potete dunque scorrerlo con occhi avidi e inquieti come si fa con i mistery.
Ma alla fine, questa storia, una definizione non ce l’ha e non importa a nessuno. Non importa a Pavesio, che l’ha voluta solo raccontare, non importerà ai lettori quando si accorgeranno quanto bene l’ha saputo fare.
E così avrei detto tutto il necessario. Aggiungerei solo una cosa.
Tutte le storie hanno un luogo come casa. Questa ha un luogo che è molto più di un posto, perché
Pavesio, per descriverlo, ha attinto da tutti i sensi, restituendoci colori suoni odori rumori. E ricordi che strappano sorrisi.
Le Crystall Ball, per esempio, che avevo dimenticato tanto tempo fa.
E’ importante dirlo, perché i ricordi, quelli belli, sono una cosa strana. Ti scivolano nell’anima impregnandola di nostalgia e le persone nostalgiche di solito sono persone tristi. Ma con i ricordi belli la nostalgia non fa così, ti prende forte e a volte ti sconcerta, poi ti lascia lentamente, e la dolcezza che ti resta dentro, prima, non la potevi nemmeno immaginare.
*****
Letto tutto d'un fiato ... f a n t a s t i c o!!!
RispondiElimina