SINOSSI:
Qualcuno ha scritto: se il terrore potesse avere una voce, parlerebbe
sardo. Ebbene, C’era una volta in Sardegna risuona di accenti che trasportano
il lettore all’interno dell’isola, direttamente nelle atmosfere sconcertanti
che il libro propone. Cosa accade a Solus? E che significato ha la lettera che
viene recapitata al protagonista, costringendolo a tornare al paese natio? Ogni
episodio crea quel perfetto tassello che, come un puzzle, ricompone la storia,
offrendo un quadro che nessuno avrebbe potuto immaginare, se non le vittime e i
carnefici. Eppure, nemmeno le vittime, o gli stessi carnefici, avrebbero potuto
organizzare una tragedia di così ampia portata. Solus non è quello che sembra e
i suoi abitanti nascondono segreti che sarebbe meglio non scoprire. Il vero
volto dell’orrore ha spesso connotazioni familiari, fattezze che potremmo
riconoscere in chiunque. I morti parlano, la loro voce risuona fra le fronde
degli eucalipti, strisciando fra l’erba, oppure intorno ai megaliti di Perdas
Fittas. Il destino è sempre in agguato e sceglie le proprie prede con una cura
quasi maniacale. E nessuno può considerarsi veramente al sicuro. Giancarlo Ibba
tratteggia la storia con quelle pennellate noir che appartengono ai veri
maestri dell’horror e lo fa con una tale naturalezza da costringere il lettore
a vivere la trama. Solus diventerà anche la vostra dimora… e anche voi sarete
catapultati nel profondo Sulcis, arrivando a dire: “C’è qualcosa che non va,
qui”.
Giancarlo Ibba scrive bene, molto bene e, anche solo per per questo motivo, il suo "Cera una volta in Sardegna" andrebbe letto. Lo stile solido e ben strutturato convince fin dalle prime battute e l'autore riesce a legare una serie di episodi diversi, facendoli diventare un vero e proprio romanzo dove l'atmosfera è carica di terrore e pathos. Lo stile è
inconfondibile: diretto, cinematografico, forte e senza inutili “fronzoli”, ma
al tempo stesso fluido e scorrevole come pochi altri. I personaggi sono
credibili e facilmente immaginabili, tanta è la capacità dell’autore nel
farceli “vedere” mentre si muovono a Solus, cittadina sarda. Anche noi, come
loro, percepiamo la paura che li accompagna; riusciamo, quasi, a sentire
l’odore acre del sudore improvviso, il passo pesante e il respiro spezzato.
Solus ci appare come un paese maledetto, oscuro, pericoloso e mai, prima di
oggi, avevo pensato che un horror di tale “forza emotiva” potesse essere
ambientato in Sardegna. Il talento di
Giancarlo Ibba è indiscutibile, inattaccabile, così come lo è l’idea di unire i
racconti che, come ha spiegato lo stesso autore, sono stati scritti in periodi
diversi, che abbracciano un arco di tempo abbastanza lungo. L’idea narrativa ha
dato vita a qualcosa di diverso dal solito: un percorso a ostacoli che non
lascia mai respirare a fondo il lettore e che lo induce, invece, a inspirare
sempre più di frequente, in attesa dell’epilogo finale. Personalmente amo
moltissimo i racconti brevi e credo che in quelli che compongono “C’era una
volta in Sardegna”, lo stile di Ibba sia esaltato al massimo, soprattutto grazie
alla parsimoniosa scelta delle parole. L’horror, con Giancarla Ibba, dimostra
di saper parlare italiano. Consigliatissimo.
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